“Certo che ho fatto la Palermo-Catania, mamma mia, da mettersi le mani nei capelli…”.
La chiacchierata con Francesco Paolo Capone, 61 anni, segretario generale del sindacato Ugl, in congresso a Palermo, parte dalla spigolosa narrazione di una delle specialità della casa. Come il ‘ciaffico’ o la siccità, per tacere d’altro, i sobbalzi e le deviazioni della famigerata A19 rappresentano l’inevitabile crocevia metaforico del disagio. Nonché l’attuale incipit per una chiacchierata di cose di Sicilia
Segretario, allora, la Palermo-Catania?
“Una sensazione continua di precarietà. Una esperienza di viaggio che ricorderò per sempre”.
E parliamo di infrastrutture siciliane.
“Una palla al piede per la Sicilia e le sue aspirazioni. Sono fatiscenti e costano tantissimo in termini di mancata competitività sul mercato. Per fortuna, nel Pnrr, ci sono progetti molto buoni”.
E c’è qualcuno che dice: perché il Ponte di Messina? Facciamo piuttosto le strade, no?
“Alt, la fermo subito. Si deve fare tutto. Il Ponte è una spinta fortissima per la continuità territoriale che va, ovviamente, integrata con il resto delle opere. Solo così se ne esce, facendo tutto. Abbiamo fiducia nell’azione del governo che, chiaramente, è sub iudice”.
Un’aspirazione futura, essendo il presente la cronaca di un tempo gramo.
“C’è molto da lavorare in Sicilia. Bisogna pensare seriamente ai lavoratori e alle imprese”.
Ci sono i caduti sul campo A Patti, di recente, è morto un operaio.
“Non entro nel caso specifico, di cui ho solo letto, ma mi rifaccio alle nostre elaborazioni sui dati dell’Inail. La media degli incidenti sul lavoro, in Sicilia, è più alta della media nazionale, specialmente a Catania e a Enna”.
Perché, secondo lei?
“Forse perché dove non ci sono grandi industrie la formazione è meno accurata. Ma è il punto dolente di tutto il territorio nazionale. Abbiamo un impianto di leggi molto corposo che si basa sulla produzione di certificati. Però, non basta la mole documentale, ci vogliono vera formazione e vero addestramento”.
E l’occupazione che latita?
“In Sicilia lavorano quarantaquattro persone su cento, sessanta in Italia, settanta in Europa. E’ evidente che un problema c’è”.
Ma non c’è più il reddito di cittadinanza classico: che ne pensa?
“Quel provvedimento si basava su un errore di fondo: mettere insieme gli occupabili e i fragili che non possono lavorare. Come mescolare pere e mele. Ora ci si sta muovendo nella direzione giusta, con un percorso che garantisca un concreto inserimento nel mercato”.