PALERMO- Parliamo ancora di come proseguono le indagini sulla presunta violenza sessuale perpetrata ai danni di due ragazze a Mondello, o parliamo del perché forse non è vero, del perché certe cose accadono, del perché una donna dovrebbe inventare una storia così sudicia all’orecchio e allo spirito, del perché ci chiediamo se due ragazze possono ancora uscire da sole, di come si permettono alcuni di noi ad esprimere opinioni? Essere vittima di una violenza sessuale è senza dubbio una delle paure più grandi con le quali una donna debba convivere. La presa di coscienza totale e raccapricciante di essere nelle mani di qualcuno, mani che non ti piacciono e che hai addosso, che ti tengono i polsi bloccati, che ti esplorano contro la tua volontà. Il dolore fisico della resistenza, il dolore psicologico dell’impotenza.
Riesce difficile credere che le due ragazze non siano corse alla guardia medica o al commissariato di Mondello, che non abbiano disperatamente chiesto aiuto o che non siano scoppiate in lacrime accovacciate in un angoletto del marciapiede, che non abbiano sentito la necessità di toglierli e buttarli via, quegli slip in brandelli e tirar fuori quel preservativo, invadente e lercio testimone di una immonda bruttura. È vero. Una donna che non ha mai subito una violenza sessuale non sa assolutamente di cosa parla. Essere accusati gratuitamente di violenza è, del resto, una paura dell’uomo. Un uomo che si vede costretto a rispondere alle domande, senza aver commesso reato.
Dover sottostare ad accuse di atti vergognosi, alle offese, alla calunnia, agli sguardi sprezzanti di chi assiste, sentire il pesante respiro di un giudizio inespresso ma chiaro, granitico. Sa che difficilmente può dimostrare la sua innocenza, sa che lui è il mostro, dunque non c’è partita. Non che si svegli di soprassalto con questo timore, ma, storie di questo tipo ne abbiamo già sentite. Oltretutto, strapparsi la biancheria intima e infilarsi un preservativo dentro è molto più semplice che procurarsi lividi, ematomi e segni di lotta.
Ritengo sintomatico di una nuova forma di autotutela come ognuno di noi da questa storia, da altre storie, sia in grado di trarre le proprie conclusioni prima ancora di conoscerne l’epilogo. Noi, giudici non richiesti ma ordinari e legittimi, che davanti ad una spolverata di notizia non riusciamo più a rimanere imparziali, immobili nel pensiero e nelle espressioni del viso. Noi che abbiamo già deciso cosa è successo, noi che non c’eravamo, ma c’eravamo. Noi che non ci fidiamo più nemmeno di due ragazze che affermano di essere state stuprate. Noi che lo sappiamo che non si accettano caramelle dagli sconosciuti, e chi lo fa è estremamente stupido e incosciente. Noi che puntiamo il dito su chi osa difendere il cattivo di turno. Noi che la facciamo facile.
I miscredenti e i credenti, che sfruttano ogni occasione per salire sul carrozzone ed esprimere al megafono la propria idea. La violenza va odiata in tutte le sue forme. Unica forma di staticità, puntuale considerazione, spot promozionale del credente, premessa urlata dal miscredente. Seguita a ruota dallo sdegno verso chi si permette di giudicare, a sua volta seguito dal pensiero commosso ai parenti delle vittime. Non sono altro che pulsanti da spingere nei casi di emergenza, dimostrazioni di civiltà e tentativi di sensibilizzare il proprio stesso pensiero, prima di quello degli altri. Inventare, scomporre, sostituire, ricordare, mentire, asserire. Fingere di non capire, di non pensare, di non averci pensato, solo per far sentire la propria voce.
Dietro argomentatissimi concetti, dietro schieramenti generazionali e sociali, dietro sottilizzazioni, prese di posizione, guerre dialettiche e domande provocatorie ci sono palmi di mani rivolti verso l’alto, ci sono spallucce, ci sono i “non lo so”. Siamo preparati alla rissa verbale pur di portare avanti un’idea che nemmeno sappiamo da dove ci è venuta, ma è la nostra idea quel giorno, e abbiamo ragione. Quindi fatevi tutti da parte, che il detentore della verità assoluta è qui da qualche parte, sta affilando i suoi coltelli, lucidando la canna del fucile, sta solo aspettando il momento più propizio per poterci illuminare.