CATANIA- Champagne, pizzini digitali, summit negli ambienti carcerari e la possibilità di far entrare e uscire messaggi diretti agli affiliati. E ancora: pasti da grand hotel, droga e un lungo elenco di privilegi. Il carcere di Bicocca viene descritto dagli atti giudiziari come un Resort che ha concesso, negli ultimi anni, a boss e affiliati la possibilità di restare ai vertici delle associazioni criminali, anche da dietro le sbarre.
Gli agenti della polizia penitenziaria sono impegnati ogni giorno in una battaglia, per l’affermazione delle regole, spesso anche contro alcuni colleghi, mele marce finite nel mirino della magistratura di recente (vedi sotto).
Ma è con l’operazione che ha portato all’arresto degli uomini dei Laudani e dei Santapaola di Paternò che torna alla ribalta il carcere di Bicocca. Domenico Nicotra, segretario aggiunto dell’Osapp sottolinea che “è stata proprio la Polizia Penitenziaria etnea ad accorgersi di queste comunicazioni fraudolente, tanto che già nel passato gli stessi Poliziotti avevano inoltrato al proprio Comando diverse annotazioni di servizio.”
“Infatti, prosegue il leader dell’O.S.A.P.P., è stato proprio grazie alla scoperta di questo canale di comunicazione che l’Autorità Giudiziaria ha ritenuto di poterlo utilizzare per far breccia sugli equilibri delinquenziali della città catanese avvalendosi, oltre che del Corpo di Polizia Penitenziaria, anche dell’Arma dei Carabinieri.”
Dopo che Salvatore Rapisarda finisce all’istituto Bicocca, alcuni affiliati vengono inchiodati dalle telecamere mentre urlano messaggi diretti proprio a Rapisarda. Un sistema rudimentale di comunicazione, se non si trattasse di un carcere di massima sicurezza durante una guerra di mafia, quella tra i Morabito vicini ai Laudani e gli Assinnata guidati, prima dell’assassinio, da Turi Leanza detto “Padedda”.
Proprio i Laudani sarebbero stati favoriti dall’ex comandante della polizia penitenziaria Girolamo Cardamone, finito nel mirino di un’inchiesta del Pm Pasquale Pacifico, di cui si è occupato, con uno speciale, il mensile “S”.
Secondo Giuseppe Laudani, ex responsabile dell’omonimo clan mafioso, Cardamone sarebbe stato a totale disposizione del clan Laudani “riuscendo -si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- a soddisfare ogni genere di bisogno che gli affiliati detenuti avessero”.
Dal momento in cui Laudani aveva messo piede a Bicocca, il capo della penitenziaria gli era stato presentato come “un amico disponibile” dagli affiliati Pippo Romeo, Giuseppe Grasso e Salvatore Catti. In cambio delle prestazioni che forniva, Cardamone riceveva, secondo il collaboratore Laudani, dai 2 ai 4 mila euro al mese.
L’elenco dei favori è lungo. Si va dalle informazioni rilevanti per la sussistenza del clan all’organizzazione di summit all’interno del carcere, dal rinvio dei trasferimenti disposti dal Dap all’organizzazione di telefonate e colloqui supplementari, per non parlare dei messaggi che entravano e uscivano dal carcere, dei beni di “varia natura” che arrivavano dritti in cella: alcolici, cellulari e lettori mp3, cibo in abbondanza e ipad con video messaggi registrati da parte degli affiliati.
“Per qualsiasi cosa avevamo di bisogno -racconta il pentito dei Laudani ai Pm– non c’era mai nessun problema, di niente, completamente, era lui stesso, noi non sapevamo come faceva, perché era proprio spudorata la cosa, era sfacciata totalmente, perché noi avevamo telefonini, avevamo lettori Mp3 con le registrazioni…”.
Il Grand Hotel Bicocca ha lanciato la moda dei pizzini “digitali”, i lettori Mp3 circolavano tra gli affiliati grazie al comandante della penitenziaria, consentendo a registrazioni e ordini di arrivare dritti ai destinatari, un fatto che ha letteralmente sconvolto gli inquirenti. “Gli Mp3 non sono consentiti nelle carceri, completamente -svela Laudani- perché si può registrare la voce, quello che difatti facevamo noi a volte, lui ce lo portava, ce lo faceva portare Alfio, proprio per darci un messaggio registrato”. Le celle diventavano vere e proprie sale di registrazione e i pizzini “digitali” venivano recapitati anche a Giuseppe Laudani detto “Il Principe” e all’affiliato Antonino Fosco detto Ninni.
Ai boss non mancava alcunché: “Una volta -confida il pentito dei Laudani- ci hanno portato qualche cinquanta chili di mangiare, bottiglie, champagne, di tutto, dentro il carcere, ma proprio con una naturalezza di quelle incredibili”.
In particolare lo champagne scorreva a fiumi. “Volevo una bottiglia di champagne -racconta Laudani ai Pm- glielo dicevo alla mia famiglia, di prendere la cosa, metterla nel pacco, spedirla al carcere di Bicocca, arrivava al magazzino, quello del magazzino mi chiama, scendo là, me la mettevo dentro un sacco nero dell’immondizia e me la portavo”. “Ma loro, non dovevano registrarli i pacchi?”, chiedono i magistrati, “naturalmente -risponde il pentito- questo non succedeva, scrivevano quello che volevano, niente, due magliette, punto e basta, <<firma qua, non firmare niente, facciamo finta di niente”, addirittura se c’era Caldamore mi portava direttamente il pacco senza bisogno di fare neanche la sceneggiata della busta dell’immondizia”.
Regali e champagne arrivavano anche a Melo Salemi, del Clan Santapaola, detenuto di massima sicurezza.
I boss dei Laudani venivano aggiornati in tempo reale dell’esecuzione di ordinanze cautelari, ma anche di chi entrava e usciva dal carcere e soprattutto, in quali celle si trovassero gli altri affiliati a Cosa Nostra. “Lui ci avvisava -dice Laudani ai Pm riferendosi al capo della penitenziaria- di quando dovevamo partire, qualcuno di noi doveva essere tradotto, lui ci avvisava o la mattina prima o comunque appena arrivava subito il fax dal Dipartimento, se era per l’indomani, se era per il pomeriggio, ci avvisava in anticipo, in modo da poter subito avvisare fuori…neanche io riesco a capacitarmi di tutto quello che succedeva là dentro perché là eravamo a casa totalmente”.
SUMMIT- Veri e propri summit sono stati celebrati a Bicocca, anche alla presenza -secondo il collaboratore Franco Russo, già esponente dei Cursoti Milanesi- di Cardamone. Agli incontri era riservata una sorta di privè all’interno del carcere, una stanza lontana da occhi indiscreti, “sita al piano terra del braccio destro”. Lo stesso collaboratore Russo ha raccontato ai magistrati di essersi spaventato per la presenza, ad uno dei summit, anche di esponenti di altre famiglie mafiose.
Il tutto condito da un fiume di pizzini e lettere, che venivano consegnate da Cardamone al fratello di Giuseppe Romeo, Alfio, noto come “Alfio Faviana”, gestore del ristorante Liperus a Giarre molto frequentato dal capo della penitenziaria.
FESTE- Il collaborante Girolamo Barbagallo, interrogato dai magistrati, ha raccontato come si festeggiava la Pasqua dietro le sbarre. “Il giorno prima di Pasqua del 2009 -ricorda Barbagallo- il “ponchio” ha portato tre bottiglie di liquore nella stanza di Piero Crisafulli”. Seguono un lettore Mp3 a ciascuno dei Crisafulli, 10 grammi di fumo “a due ragazzi ristretti nell’ala destinata al clan dei Mussi”, infine, sempre nello stesso giorno il “ponchio” avrebbe consegnato un porta soprese in plastica nell’ovetto kinder a due ragazzi, “io mi avvicinai subito dopo alla cella dei due ragazzi e vidi coi miei occhi la marijuana contenuta nel porta sorprese”.
INTERVIENE DOMENICO NICOTRA DELL’OSAPP
CATANIA – “Purtroppo si è avuto modo di apprendere che organi d’informazione continuano a “buttare fango” sulla Polizia Penitenziaria Catanese per fatti che risalgono al lontano 2009.” A dichiaralo è il Segretario Generale Aggiunto dell’OSAPP Domenico Nicotra, che rende nota la circostanza che dal lontano 2009 quel personale di Polizia Penitenziaria adesso non è più in servizio. “Anzi, prosegue il sindacalista dell’Osapp, la recente operazione congiunta tra Polizia Penitenziaria e Arma dei Carabinieri ha di fatto evidenziato, qualora ve ne fosse ancora la necessità, come i Poliziotti Penitenziari in servizio nell’Istituto penitenziario etneo di “Bicocca” siano assolutamente garanti della legalità intra ed extra muraria”.
“Sono passati e trapassati i tempi in cui si accusava la Polizia Penitenziaria di favorire le attività mafiose ed il carcere poteva sembrare un resort con fiumi di champagne. Adesso l’Istituto Penitenziario di Catania “Bicocca”, così come gli altri Istituti delle Repubblica, è presidio di legalità e sicurezza”.
“E’ auspicabile, conclude Nicotra, che in futuro prima ancora di riportare notizie si tenga conto che le mele marce esistono in tutte le realtà lavorative ma non per questo si faccia di tutta l’erba un fascio.”
LA REPLICA DELL’AUTORE DEL SERVIZIO
Egregio Nicotra, l’operazione di cui si parla nel servizio giornalistico è stata eseguita il 31 ottobre 2014 (LINK), uno degli agenti di polizia penitenziaria è stato arrestato addirittura mentre era in servizio. I collaboratori di giustizia stanno continuando a spiegare i meccanismi che hanno consentito, ai boss di ogni famiglia mafiosa, di continuare a comandare da dietro le sbarre mentre dentro il carcere nessuno si accorgeva di quello che accadeva. Come sottolineato nell’articolo “gli agenti della polizia penitenziaria sono impegnati ogni giorno in una battaglia, per l’affermazione delle regole, spesso anche contro alcuni colleghi, mele marce finite nel mirino della magistratura”.
Antonio Condorelli