Carcere di Giarre, le accuse al poliziotto penitenziario arrestato

Giarre, il telefono e i favori: le accuse al poliziotto penitenziario arrestato

Avrebbe aiutato un detenuto del carcere
L'INCHIESTA
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CATANIA – Avrebbe agevolato un detenuto del carcere di Giarre tacendo sul possesso di un cellulare e fornendogli informazioni riservate: sono le accuse con cui è stata applicata la custodia cautelare in carcere a Carmelo Palo, vicesindaco di Itala e assistente capo della Polizia penitenziaria.

Secondo la ricostruzione degli investigatori Palo avrebbe aiutato Antonio Di Grazia, 43 anni, figlio del responsabile della famiglia Laudani nel rione Picanello Orazio Di Grazia. La squadra mobile di Catania nell’eseguire l’ordinanza di custodia cautelare avrebbe anche sequestrato un esercizio commerciale.

Carcere di Giarre, le accuse al poliziotto

Secondo l’accusa Palo avrebbe fornito a Di Grazia “informazioni riservate, ritardato l’inserimento nelle banche dati di un rapporto disciplinare a suo carico per evitare conseguenze sull’imminente rilascio di un permesso e avrebbe omesso di segnalare il possesso da parte del detenuto di un telefono cellulare”.

Palo avrebbe anche “avvisato Di Grazia su imminenti perquisizione delle celle e gli avrebbe consentito di utilizzare illegalmente il telefono dell’ufficio matricola”.

In cambio di questi favori, contesta la Dda della Procura di Catania, l’ispettore capo della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Giarre avrebbe ricevuto la promessa di “giocare schedine su eventi calcistici per suo conto, anticipando le somme da puntare, e di consegnargli somme di denaro contante da custodire in casa con la possibilità di utilizzarle per le proprie necessità”.

L’aggravante mafiosa

Promesse che, sostiene l’accusa, “il pubblico ufficiale accettava”. Per questo per Carmelo Palo, vicesindaco di Itala, è scattato l’arresto. La Dda contesta “l’aggravante di avere commesso il fatto con il metodo in modalità mafiose avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che deriva dalla presenza sul territorio dell’associazione mafiosa”.

Antonino Di Grazia, continua l’accusa, è infatti “figlio di Orazio esponente clan Laudani, responsabile del gruppo di Picanello”, e avrebbe evocato “il potere economico e criminale della propria famiglia come fondamento del patto produttivo con Palo”.


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