Caro dottor Ingroia,
Non c’è dubbio che, rispetto a Cuffaro, il potente sia lei in questo momento, per una evidenza talmente palmare da non dovere nemmeno essere sottolineata. Quindi, casomai, si tratterebbe di una difesa del debole – di un vinto – contro il forte: un’attività che offre sempre rischi, mai privilegi.
Lei non è un ‘gran ciambellano’ del Crocettismo’? Va bene, scelga pure la qualifica che preferisce: tuttavia lei fa parte, in quanto legittimamente prescelto – e con la più cristallina buonafede, manco a dirlo – di una tragica esperienza politico-amministrativa che sarà ricordata con quel titolo: il Crocettismo. E non ci sono critiche, né distinguo che si possano accampare come alibi: se non andarsene, dimettersi e prendere le distanze. Oltretutto, (anche) il governo Crocetta ha reso il parere dei semplici cittadini uguale allo zero: un’intera Isola implora le dimissioni del presidente che pure resta al suo posto. Quindi, che la voce dell’opinione pubblica conti nulla e abbia un peso impalpabile nel corso del potere e nelle scelte dei veri potenti, non lo dico io, lo dicono, tristemente, i fatti. Urge un caffè al bar per rendersene conto.
In ultimo, una cosa debbo confessarle, dottore Ingroia – senza che il termine faccia drizzare le sue antenne da pm – non sono solito lanciare invettive contro nessuno, preferisco definirli ‘ragionamenti’. Ma se dovessi lanciare un’invettiva, ecco in cosa mi sperimenterei: da semplice cittadino, frequentatore di bar, non ne posso più di sentire citare i cari nomi di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, mischiati in ogni insalata polemica, per dare forza a discorsi che altrimenti parrebbero zoppicanti. E’ un’abitudine che trovo veramente di cattivo gusto. Cordialmente.