PALERMO – Il caso è chiuso, senza una verità e senza colpevoli. I primi giorni di settembre – ma Livesicilia lo ha appreso solo oggi – il giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio del Tribunale di Palermo ha archiviato l’inchiesta sulla scomparsa di Mariano Farina e Salvatore Colletta.
Avevano 12 e 15 anni quando dei due ragazzini si persero le tracce a Casteldaccia. Era il 31 marzo 1992, trent’anni dopo arriva l’archiviazione. Secondo il giudice, nulla è emerso per sostenere l’accusa contro qualcuno.
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Si è indagato a lungo. Non abbastanza per i familiari, secondo cui c’erano e ci sarebbero ancora delle vicende da scandagliare. Di avviso opposto il gip, ma anche la Procura della Repubblica di Palermo che ha chiesto due volte l’archiviazione.
La prima volta il giudice accolse l’opposizione da parte dei familiari di Colletta, assistiti dall’avvocato Bonaventura Zizzo, e dei Farina, assistiti dagli avvocati Roberta Gentileschi e Laura Genovesi. Lo scorso aprile furono ordinati nuovi approfondimenti.
Al termine i pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Gaspare Spedale hanno rinnovato la richiesta di archiviazione. Stavolta è arrivata la chiusura del caso.
ll primo a parlare dei due ragazzini, subito dopo la scomparsa, fu Salvatore Augello, legato agli ambienti criminali del rione Guadagna. Disse che in alcune ville di Casteldaccia abitate dai mafiosi, all’inizio degli anni Novanta, si svolgevano summit alla presenza di Bernardo Provenzano.
Sono le stesse ville davanti a cui sono stati visti per l’ultima volta Salvatore Colletta e Mariano Farina. E dunque prese corpo la pista della punizione per avere visto qualcosa che non avrebbero dovuto vedere, magari mentre tentavano di rubare qualcosa per gioco.
Era una voce che circolava con insistenza negli ambienti di Cosa Nostra. Nelle ville sul lungomare di Casteldaccia, abitate da boss del calibro di Masino Spadaro, Michele Greco e Filippo Marchese, Provenzano radunava i capimafia per stabilire le strategie. L’incarico delle convocazioni era affidato al suo braccio destro, Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno morto suicida in carcere.
Di recente le indagini si erano concentrate sull’immobile di un imprenditore vicino all’ex sindaco Vito Ciancimino, sempre sul lungomare, in contrada Gelso. Il fratello di Salvatore, Ciro Colletta, che oggi ha 43 anni, subito dopo la scomparsa aveva riferito di due ville. Una dove Salvatore era entrato per pulirsi dal sale dopo avere fatto il bagno e l’altra dove avevano rubato qualcosa.
I carabinieri sono arrivati alla seconda villa ormai confiscata. Ciro Colletta ricordava che ci fossero degli animali. Anni fa aveva parlato di un merlo, poi di un pappagallo. Circostanza smentita dai proprietari e impossibile, dicono i pm, da verificare a distanza di tanti anni.
Sono stati sentiti vecchi e nuovi collaboratori di giustizia, come Nino Giuffrè di Caccamo, Francesco Colletti di Villabate e Filippo Bisconti di Belmonte Mezzagno. Non hanno fornito spunti utili.
Due di loro, però, qualcosa avevano riferito. Giuseppe Carbone di Bagheria ha detto che “una volta ne parlai con gli Scaduto mi dissero: “Chissà che cosa hanno visto entrando in qualche villa. E magari li hanno sciolti nell’acido”.
Stefano Lo Verso di Ficarazzi avva aggiunto che apprese la notizia dai giornali, ma ricorda che si diceva che “fossero scomparsi per avere fatto un giro sul lungomare dove c’erano le ville dei boss e forse avevano visto qualcosa che non dovevano vedere. Ne parlavo con Mezzatesta (allora capomafia) che leggeva i giornali”.
Secondo i pm, le indagini si erano arenate senza che potesse arrivare la svolta. Si è anche indagato, senza esito, su una ipotesi di rapimento. La vicenda è rimasta fumosa. I familiari dei due ragazzini, tramite i legali, lasciano trapelare una profonda amarezza. Restano convinti che ci fossero i margini per continuare a indagare. D’ora in poi si può solo sperare che arrivino elementi nuovi. Che qualcuno che ha visto qualcosa ne parli dopo 30 anni di silenzi.