Catania, in ricordo di Serafino Famà e dei morti di mafia - Live Sicilia

Catania, in ricordo di Serafino Famà e dei morti di mafia

La cerimonia per il penalista catanese ucciso 27 anni fa da Cosa Nostra: "Colpevole di avere adempiuto al proprio mandato"
LA COMMEMORAZIONE
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CATANIA – Si radunano nell’atrio del Palazzo di Giustizia alla spicciolata, ma alle undici lo spazio è pieno di avvocati in toga, alti ufficiali delle Forze dell’ordine, vertici della procura e del tribunale catanese. L’occasione è il ricordo di Serafino Famà, penalista ucciso 27 anni fa da Cosa Nostra catanese perché suggerì a una testimone di non rendere falsa testimonianza davanti al giudice. Davanti alla lapide che ricorda Famà si sono dati il cambio diversi oratori, per ricordare la sua figura di avvocato e di uomo.

“Tributo di sangue da chi difendeva la legge”

È Francesco Antille, presidente della Camera penale catanese intestata proprio a Serafino Famà, a dare il via alla giornata di ricordo: “Oggi ricorre l’anniversario dell’ignobile uccisione di Famà – dice – dobbiamo cogliere da quel sacrificio alcuni valori essenziali che consentono di superare la contingenza della tragedia. La nostra terra ha pagato un altissimo tributo di sangue versato da chi difendeva la legge. Famà era colpevole di avere adempiuto al proprio mandato secondo quanto previsto dal diritto e dalla propria coscienza”.

Antille cita poi i nomi di altri due morti di mafia nei primi anni novanta, il beato don Pino Puglisi e il giudice Rosario Livatino, e i caduti delle forze dell’ordine: “Gran parte degli autori di questi delitti sono stati condannati al termine di processi che si sono scrupolosamente attenuti alle disposizioni normative della nostra Repubblica, ed è stata questa la migliore risposta possibile a fronte di quanto accaduto. Se infatti il processo non è giusto , nei confronti di chiunque, non si potra’ mai parlare di vera giustizia”.

“Noi raccogliamo l’eredità di chi non c’è più – conclude Antille – ma rivendichiamo di essere moderni costruttori di legalità; perche’ ogni sistema di garanzie legali non può che rafforzare e migliorare l’essenza del processo e la sua retrostante dinamica sociale. La stagione del rifiuto del dialogo tra le parti, dell’assenza di reciproca pari legittimazione , per quanto ci riguarda , deve intendersi socialmente e storicamente conclusa”.

Gli altri interventi

Presente alla cerimonia è anche Monsignor Salvatore Genchi, vicario dell’Arcivescovo di Catania: “Davanti alla lapide di Famà ci auguriamo che la vita umana non venga spenta così facilmente per motivi ignobili, ma chi offre la sua vita rimane nobile di fronte a Dio e di fronte a noi”.

A ricordare Serafino Famà intervengono poi diversi esponenti del mondo della giustizia. Per Il presidente dell’ordine degli avvocati di Catania Rosario Pizzino, la commemorazione “non è un rituale né una ripetitiva cerimonia, ma un’occasione di riflessione e rilettura della lezione di deontologia lasciata da Famà”. Il procuratore generale facente funzioni presso la Corte d’appello Carlo Caponcello , ricorda le indagini fatte col magistrato Ignazio Fonzo sull’omicidio – lo stesso che poi sostenne l’accusa in primo e secondo grado – e sottolinea che “la sua figura aleggiava su tutti i processi che furono celebrati dopo la sua morte, perché dava conto della gravità serissima della situazione”.

Il presidente del Tribunale di Catania Francesco Mannino ricorda Famà come “un avvocato giusto, corretto, tenace; metteva l’accento sui diritti degli imputati e sul rispetto delle forme”. Il procuratore Carmelo Zuccaro riflette: “In questo paese per essere vittime della mafia basta essere impegnati a rispondere alla propria coscienza e fare il proprio dovere. Famà sapeva bene il rischio che correva quando ha dato le sue indicazioni. Ciascuno di noi deve impegnarsi per dire no a tutto ciò che contrasta con la propria coscienza, anche se il prezzo da pagare è elevato. Solo se la società civile comprende questo non dovremo più ricordare occorrenze come questa”.

Presenti alla cerimonia, infine, anche i figli di Serafino Famà, Fabrizio e Flavia. Quest’ultima dice: “Vorrei lo ricordaste com’era da vivo, non da morto, chiedendovi: che farebbe Serafino in questa situazione?”


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