CATANIA – È un’estate particolarmente calda per il giovane Francesco Russo, presunto boss al “carcere duro” ritenuto l’ultimo capo conosciuto di Cosa Nostra in provincia. È attualmente detenuto al carcere campano di Santa Maria Capua Vetere, ma un paio di mesi fa la sua voce si è sentita per bene, in aula, a Catania.
Dinanzi al gup Maria Ivana Cardillo, ha respinto l’accusa di essere un mafioso. Il “papa”, come qualcuno lo avrebbe chiamato. Arriverà tra poco più di un mese la requisitoria del pm della Dda Raffaella Vinciguerra, per Russo e per gli altri imputati del processo “Ombra”, dal titolo dell’operazione in cui fu arrestato.
La successione dinastica tra i Santapaola
Russo è ritenuto il successore, per effetto di una sostituzione in corsa imposta dall’alto, di Francesco Napoli. Un boss che si muove nell’“ombra” subentrato a un altro, presunto, uomo d’onore “riservato ma altolocato”. Napoli, infatti, veniva ritenuto in qualche modo vicino all’aristocrazia mafiosa catanese, tanto che il suo arresto scattò nell’operazione “Sangue blu”.
Un mese fa ad ogni modo, Russo ha detto di non entrarci nulla con questa storia. Ha respinto di essere un boss, ma pure l’accusa di essere un “uomo d’onore riservato”. L’accusa tuttavia lo ritiene potente, tanto che la sua apparente invisibilità diede il nome all’operazione Ombra, con cui la squadra mobile lo ha arrestato l’anno scorso. E tanto da essere posto al 41 bis ormai da mesi.
Il processo
Russo è difeso dagli avvocati Salvo Pace e Giuseppe Rapisarda. L’accusa è quella di associazione a delinquere di stampo mafioso con l’aggravante di essere capo e promotore della cosca. Ora il processo come detto si è chiuso. Il 17 settembre requisitoria, poi arringhe degli avvocati e alla fine verrà fuori la sentenza di primo grado.
Per l’accusa, il ruolo di capo di Russo durerebbe dal 10 novembre 2022 “all’attualità” (cioè fino a quando non è scattata l’operazione Ombra. Secondo la Dda, nonostante la teorica riservatezza del suo status, sarebbe anche uscito allo scoperto. Il 31 ottobre dell’anno scorso, dopo un banale litigio sul lavoro, sarebbe brutalmente passato dalle parole ai fatti.
La riservatezza e… la patata bollente
Avrebbe aggredito, secondo l’accusa, assieme ad altre due persone un uomo sul lavoro. Uno avrebbe usato una mazza da baseball e l’altro gli avrebbe sparato gambizzandolo, a bruciapelo. Il movente? La vittima dell’aggressione gli aveva mancato di rispetto. Russo si sarebbe fatto rispettare a modo suo.
A illustrare il senso della “riservatezza”, in merito al potere mafioso di Russo, è un altro mafioso arrestato, che, intercettato, avrebbe detto: “È lui che ha la patata”. E poi avrebbe spiegato: “Se la vede da fuori… neanche lo nominano… io lo so perché lo… ma in pochi lo sappiamo… u paloccu riferisce a lui, hai capito?”.

