CATANIA – Icone, martiri, eroi. Il linguaggio, parlato e figurato, del fascismo è intriso di figure retoriche e costruzioni ad hoc che percorrono il ventennio rafforzandosi nel mito costruito e alimentato dal Duce in persona, e da tutto l’apparato. In Italia, in Sicilia, a Catania. Qui però, come l’autore evidenzia, riportando alla luce un fattaccio debitamente dimenticato, le dinamiche che accompagnano il regime, soprattutto agli esordi, assumono una piega tutta locale, fatta di divisioni, di volontà di assumere il potere, di sicilianitudine, per dirla alla Sciascia, che connota quegli anni in maniera particolare.
È in questo quadro che si inserisce la morte di Carlo Amato, diciassettenne studente dello Spedalieri, ucciso durante la marcia su Roma da un proiettile che gli fracassa il cranio. E per il quale non sono stati trovati colpevoli. Perché a molti quella morte conveniva così com’era, ammantata di mito: un martire catanese servito su un piatto d’argento valeva mille processi. Un eroe da sostentare, con retorica italica, valeva mille colpevoli trovati.
“Una vittima senza carnefici”, scrive l’autore nell’introduzione, una vittima le cui memorie si perdono nel dopoguerra, quando parlare del periodo fascista non conviene a nessuno e quando, particolarmente a Catania, i fattacci vengono sepolti sotto il tappeto, sopravvivendo solo nei ricordi di chi c’era. Una prassi, si direbbe, per la città etnea, abituata a dimenticare a convenienza la propria storia, non sempre edificante, che si tace per lo più, prima di essere riportata alla luce da storici, studiosi, appassionati e non. Soprattutto quando a dover essere ricordata è una pagina più buia delle altre, e il non farlo mantiene intatta l’”agiografia” del martire fascista.
Ma come andarono le cose? Carlo Amato fu ucciso dagli anarchici? Fu abbattuto da fuoco amico? Le mancate risposte hanno alimentato il mito, che la città – indolente per natura – ha accolto senza farsi troppe domande. Eppure di domande ce ne sono. E sono quelle da cui parte Adonia nel ricostruire, documenti alla mano, quei giorni. E quel fattaccio, costato la vita a un ragazzo di appena 17 anni.
Sullo sfondo, gli imbarazzi di un Regime che tenta di ricucire a tutti i costi i conflitti sociali in corso, e i mal di testa di Benito Mussolini che chiede ad Achille Starace di seguire di prima persona i fatti siciliani. Una piazza divisa, un partito in frantumi, uno scenario che necessità di un “evento” che possa, almeno in apparenza, fare da catalizzatore delle anime del partito.
La morte di Carlo Amato, il main theme di Presente!, permette di raccontare questo e altro. Non solo la crisi del fascio siciliano, ma anche l’ascesa e la caduta del ministro Gabriello Carnazza, una Catania scomparsa, ma logiche fin troppo uguali nel tempo. E un martire della “Rivoluzione”, al quale saranno intitolate vie, scuole, squadre sportive, altari, manifestazioni imponenti e altro. Il suo corpo oggi riposa nella monumentale Chiesa di San Nicolò l’Arena, mentre una grande lapide col suo nome resta lì intatta sopra l’ingresso dell’istituto Agatino Malerba, a Picanello. Attorno al suo nome il Regime costruì un mito, ma sulle reali cause che portarono alla sua morte tutto fu insabbiato. Quanto accadde davvero il 2 novembre è nelle carte riservate del Ministero dell’Interno. E quanto riaffiora può risultare davvero imbarazzate un po’per tutte le forze in campo di ieri e dell’altro ieri.