Jenny e Vanessa, storie parallele di chi non hanno scelto di morire

Jenny Cantarero e Vanessa Zappalà, storie parallele di orrore

Stessa età, stessa esecuzione, stesso epilogo: gli assassini hanno scelto di morire, loro no

CATANIA – Due storie uguali nella loro tragicità. Due giovani donne uccise, due assassini che si tolgono la vita dopo averle ammazzate. Un dolore che si ripete e per questo fa ancora più male.

Innanzitutto e soprattutto ci sono loro. Due ragazze, la cui vita si ferma alla dimensione dell’oggi. Jenny Cantarero e Vanessa Zappalà, 27 e 26 anni. Qualcuno ha deciso di condannarle a morte come se fosse un loro diritto stabilire quando e come dovessero amare.

Stessa età, dunque, e stesso lavoro. Entrambe erano impiegate in una panetteria. Vanessa è stata uccisa ad Aci Trezza, una sera dell scorso agosto. Ha smesso di uscire con gli amici, di gioire, di sperare e di disperasi come accade a tutti nella vita. Non sarà mai mamma perché è stata privata anche della scelta di diventarlo. Non potrà più stabile che vita volesse vivere, se un film sul divano di casa valesse più di mille avventure in giro per il mondo. Ha smesso di esistere quando Tony Sciuto le ha sparato una raffica di colpi di pistola al volto.

Al volto, già. Proprio come Jenny, a cui Sebastiano Spampinato ha riservato la stessa sorte. Lei, Jenny, la sua scelta di diventare mamma l’aveva già presa. Le è stato tolto tutto, e quel tutto può essere amaramente condensato nel fatto che non avrà la possibilità di vedere crescere sua figlia. La bimba diventerà adolescente, poi donna, ma Jenny non ci sarà.

Sciuto si è impiccato in un casolare diroccato di campagna. Spampinato, ne sono certi gli investigatori, si è sparato un colpo di pistola alla tempia in una villetta abbandonata. Stesso epilogo. Braccati dagli investigatori per giorni hanno scelto di farla finita, chissà se presi dal rimorso o assaliti dalla paura di finire in carcere.

Vanessa e Jenny non hanno scelto di morire, qualcuno lo ha fatto per loro, arrogandosi un diritto che a nessuno spetta in questa cosa che chiamiamo vita. Ancora prima nessuno può decidere se e come continuare una relazione oppure se troncarla.

Nelle cronache si usa, usiamo spesso, accostare la parola amore all’aggettivo criminale. Dov’è l’amore in queste storie? È solo barbarie, come in ogni femminicidio di una lista che si allunga sempre di più. Saranno i sociologi, gli psicologi, gli esperti a interrogarsi su cosa scatti nella mente di un assassino.

La cronaca ha il dovere di raccontare cosa è accaduto, di fare vedere i volti di chi non ha domani perché è stato confinato, brutalmente, alla dimensione dell’oggi. È la negazione del divenire e con essa della vita. Si coltiva la speranza che le immagini dei sorrisi spenti per sempre servano ad evitare che tutto ciò si ripeta. È una prova di forza contro la logica che, purtroppo, ci obbliga a pensare che capiterà ancora e ancora.

Come è accaduto a Jenny e Vanessa. Stessa età, stessa provincia di residenza, stesso lavoro, stessa modalità di esecuzione. E stesso epilogo per chi ha scelto senza dare scelta.


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