Catania: gli scavi, i traffici internazionali e il ruolo della ‘ndrangheta

Catania: scavi, traffici internazionali e il ruolo della ‘ndrangheta

Per la 'ndrina degli Arena sarebbe stato un 'affare' come gli altri

CATANIA – Un ponte criminale tra Sicilia e Calabria, per i carabinieri, lo ha costruito la ‘ndrangheta. È un intreccio che riguarda l’appropriazione sistematica di beni culturali, monete, monili, reperti di vario genere. Preziosi, letteralmente sradicati dal sottosuolo e finiti in parte – a suon di migliaia di euro – nelle collezioni private di appassionati senza scrupoli di mezza Europa.

L’aggravante mafiosa, aver agevolato la cosca, è contestata solo agli indagati calabresi, non ai siciliani. Sta di fatto che attraverso le compravendita di reperti trafugati in Sicilia e in Calabria, la cosca degli Arena, una ‘ndrina di Isola Capo Rizzuto, sarebbe riuscita a consolidare il proprio controllo del territorio. Sarebbe accaduto nel Crotonese. La cosca avrebbe anche beneficiato dei proventi delle attività delittuose.

Un’inchiesta di dimensioni enormi

I beni archeologici, in pratica, sarebbero stati un affare come qualunque altro, come il traffico di droga. Né più né meno, per la ‘ndrangheta calabrese. È uno dei più loschi retroscena dell’inchiesta che ha portato i militari del Nucleo di tutela del patrimonio culturale di Palermo, ieri, all’operazione Ghenos.

I numeri dell’inchiesta li ha enucleati ieri mattina il procuratore Curcio: l’indagine ha riguardato 79 indagati, 45 dei quali raggiunti da misure cautelari. Tra di loro anche due appartenenti alle forze dell’ordine. Sono state sequestrate diecimila monete. Sono stati trovati 60 metal detector, usati per cercare in modo quasi scientifico nei siti le monete preziose. “Quelle sequestrate – ha spigato Curcio – hanno un valore di 17 milioni di euro”. 

Le due associazioni a delinquere

Le ipotesi di reato di associazione a delinquere contestate dalla Procura di Catania sono due. Nessuno dei due gruppi, composti da siciliani, è ritenuto collegato in alcun modo alle cosche della ‘ndrangheta. Sono storie parallele, ma diverse. La prima accusa di “associazione”, per il gip di Catania Simona Ragazzi, in questa fase regge per cinque persone: sono tutti di Paternò. Il primo della lista è Michele Consolato Nicotra, 42enne, ritenuto il promotore e l’organizzatore e arrestato. Gli altri quattro indagati, destinatari di misure minori, sono Salvatore Cavallaro, Salvatore Palumbo, Adriano Nicotra e Francesco Salvia. Loro sono coinvolti nei cosiddetti “reati fine”.

Ai cinque vengono imputati ben 19 scavi clandestini, ricostruiti mediante intercettazioni, sistemi di localizzazione satellitari e sopralluoghi, conseguenti, nelle aree archeologiche depredate. Altri sei scavi non riscontrati, per avverse condizioni metereologiche o per l’impossibilità di individuare con certezza l’area archeologica di cui si parlava.

La posizione di Nicotra

Michele Consolato Nicotra, come detto, è ritenuto dall’accusa il punto di riferimento. Avrebbe presenziato a ogni scavo, che avrebbe organizzato personalmente, fornendo disposizioni sull’acquisto delle bevande utili per rifocillarsi dalle fatiche degli scavi. Avrebbe fornito disposizioni sul reperimento di picconi, zappe e metaldetectors. E all’inizio avrebbe fornito pure la proprio auto per raggiungere le località di interesse. Gli altri quattro avrebbero collaborato nella realizzazione degli scavi, fornendo il proprio determinante apporto.

Cavallaro avrebbe partecipato a 14 scavi clandestini. Palumbo sarebbe stato presente in 14 occasioni. Salvia avrebbe partecipato a 3 scavi clandestini. Adriano Nicotra ad altri tre. I carabinieri in una circostanza, l’8 dicembre 2021, hanno bloccato all’uscita dell’area imbarchi degli automezzi del porto di Messina, l’auto su cui viaggiavano Michele Consolato Nicotra, Cavallaro e Palumbo. In quell’occasione, per i militari, i tre erano stati a scavare nel sito archeologico Scolacium di Roccelletta di Borgia, nel Catanzarese.

E furono sequestrate 106 monete di presumibile interesse archeologico, di varie zecche ed epoche, in bronzo ed argento, ancora intrise di terriccio. I tre avrebbero avuto anche biglie di piombo, monete, e materiale usato. C’erano due zappe picconi, con i relativi manici, intrisi di terriccio ancora bagnato. C’erano due metal-detector, completi di piastra intrisa di terriccio bagnato e cuffia. Nicotra e Cavallaro avrebbero attestato la proprietà.

In quel caso i tre furono denunciati a piede libero per ricettazione e impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato.

La seconda presunta associazione

La seconda ipotesi di associazione a delinquere è contestata ad altri otto indagati, pure loro siciliani e pure loro scevri da collegamenti con gruppi mafiosi. Per due degli indagati il gip non ha disposto alcuna misura. L’ipotesi è che il gruppo, così scrive il gip, “veda l’operare al suo interno di due “squadre” apparentemente distinte ma in sinergia tra loro, la prima costituita da elementi lentinesi e capeggiati da Leandro Insolia”. La seconda sarebbe costituita “da elementi paternesi e capeggiata da Giuseppe Esposito”.

Il monitoraggio dei presunti tombaroli paternesi, e in particolare di Simone Cavallaro, avrebbe consentito di intercettare alcune conversazioni telefoniche da cui sarebbe emersa la figura di Insolia, altro presunto tombarolo originario di Lentini. Anche lui è stato intercettato.


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