Catania, l’inchiesta Ghènos e la vendita dei doni saltata

Catania, l’inchiesta Ghènos e la ‘vendita dei doni’ saltata

L'amministratore unico della casa d'aste sospeso dal gip. Vicenda sulla quale si è intervenuti da Palazzo Chigi
IL RETROSCENA
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CATANIA – Ha avuto risvolti a dir poco inattesi il provvedimento del gip di Catania nella maxi-inchiesta su un presunto traffico internazionale di reperti archeologici, scoperto dai carabinieri e dalla Procura e sfociato nell’operazione Ghenos. Il caso è quello dei tombaroli che in Sicilia e in Calabria avrebbero rubato migliaia di monete, anfore e reperti archeologici per rivenderli a collezionisti privati o case d’asta, creando un giro milionario.

Il retroscena riguarda Giuseppe Bertolami, 66enne amministratore unico della casa d’aste romana “Bertolami Fine Art”. Bertolami è stato sospeso dall’esercizio d’impresa per 1 anno, perché ritenuto invischiato nella presunta vendita all’asta di reperti rubati (da altri). Va precisato che a lui è contestata solo un’ipotesi marginale, nell’ambito di un’inchiesta durata anni e che ha visto numeri ben più grossi. Si parla di 10 mila reperti sequestrati per un valore di oltre 17 milioni di euro. Bertolami è accusato di aver ricevuto 300 “lotti” nel 2022.

Il caso dell’asta

Sarebbe proprio la sua casa d’aste a doversi occupare della vendita all’asta dei doni ricevuti dalla premier Giorgia Meloni nei suoi viaggi all’estero da capo di governo. La sospensione per un anno fa slittare la vendita. Non è chiaro adesso cosa accadrà. Da Palazzo Chigi hanno inevitabilmente bloccato tutto. I doni ricevuti dalla Meloni erano stati messi all’asta a ottobre. E questo perché per legge non possono essere trattenuti regali con un valore superiore ai 300 euro. Nell’elenco figurano parure di gioielli, tappeti e opere d’arte.

L’indagine, condotta dai carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale di Palermo, è coordinata dalla Procura. A presentare i risultati dell’inchiesta, infatti, la settimana scorsa c’era il procuratore Francesco Curcio e l’aggiunto Fabio Scavone.

L’inchiesta e il ruolo di Bertolami

Ora però tutto salta. E dall’inchiesta si scopre che Bertolami è indagato perché avrebbe messo all’sta un lotto di circa 200 monete archeologiche. Perlopiù emesse da zecche siciliane, provento del reato di ricettazione di beni culturali. L’ipotesi di reato è aggravata dall’ipotesi che avrebbe eventualmente commesso il fatto nell’ambito di attività commerciale numismatica.

Nel corso dell’interrogatorio, Bertolami ha precisato che nell’ottobre del 2022 gli furono consegnati circa 300 lotti da un altro indagato. Ma prevalentemente si trattava di francobolli e cartoline, oltre a placchette in argento. Riguardo ai reperti archeologici, tra cui anche alcune monete, ha specificato che “erano tutte dotate di certificazione di provenienza”. Ad ogni modo dei trecento lotti sarebbero stati venduti solo cartoline, francobolli e stampe, mentre i manufatti e le monete archeologiche non furono vendute ma solo stimate e poi mai acquistati dalla casa d’aste.

Le motivazioni del gip

Bertolami, va specificato, non ha alcun precedente penale. Tuttavia, secondo il gip, “sussistono esigenze cautelari meritevoli di essere salvaguardate”. Questo perché l’indagato avrebbe avuto, secondo gli investigatori – è evidente che l’indagine è ancora in corso quindi le accuse sono ancora da dimostrare – “rodata familiarità con alcuni dei ricettatori”. Tuttavia, a differenza della misura di presentazione alla pg, che era stata chiesta, il gip reputa più consona “la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di imprese, per la durata di un anno”.


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