C'è del marcio a Palermo? - Live Sicilia

C’è del marcio a Palermo?

A distanza di oltre 70 anni e a meno che non si accetti l’ipotesi che l’Eternit, che deve il nome alle caratteristiche di resistenza agli agenti fisici e chimici, possa rimanere intatto anche quando manipolato dai denti di una benna o calpestato dai cingoli di una ruspa, la storia si ripete...

Nei giorni scorsi il Parco intitolato alla memoria di Ninni Cassarà, costato circa 8 milioni di euro e definito dal Sindaco pro-tempore nel giorno dell’inaugurazione “il più grande parco della città dopo la Favorita”, è stato sottoposto a sequestro dalla Procura per inquinamento da amianto.

Su internet gira un filmato che mostra le ruspe intente a spingere dentro una grossa buca scavata nel terreno lastre di Eternit e altri rifiuti speciali. L’Eternit è la marca più diffusa di conglomerato cemento-amianto, la cui pericolosità è connessa alla capacità di liberare nell’aria fibre respirabili di amianto. Mentre il rilascio di fibre è virtualmente nullo quando i manufatti (lastre ondulate, tubi, comignoli, vasche di raccolta, etc.) sono integri, ogni procedura di frammentazione o polverizzazione ne aumenta esponenzialmente la tossicità. L’amianto (o asbesto) è classificato dalla IARC, agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, come “carcinogeno di I classe”, ossia “sostanza con sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo”.
La Legge 27 Marzo 1992 n. 257 ne vieta “l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione”, mentre il bando dell’amianto dai Paesi della Comunità Europea risale al 1999 (Direttiva 1999/77/CE). Oltre che a una patologia polmonare benigna definita “asbestosi”, l’esposizione è correlata a vari tumori maligni, tra cui in particolare quello primitivo della pleura o mesotelioma.

Mentre è noto che zone sedi delle fabbriche di Eternit, come Casale Monferrato, presentano elevati tassi di incidenza, è molto difficile calcolare l’effettivo rischio di mesotelioma pleurico da inquinamento ambientale del tipo di quello appena scoperto. Gli ultimi dati del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) indicano che la malattia è diagnosticata in media oltre 40 anni dopo l’inizio dell’esposizione, il che rende molto arduo dimostrare rapporti causa-effetto, almeno nei casi in cui non si riconosca un’esposizione di tipo professionale (circa il 30% dei casi). Con tutta la necessaria cautela e nell’attesa che la Giustizia faccia il suo corso, si può ravvisare, almeno stando a ciò che è visibile a tutti sulla rete, quanto meno l’infrazione delle norme di Legge sullo smaltimento dei prodotti contenenti amianto (Legge 27 Marzo 1992 n. 257) e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (Decreto Legislativo 81/2008).

La sconcertante vicenda presenta sinistre assonanze con quanto avvenne a Palermo (e non solo) oltre 70 anni fa. Come ci ricordano gli appassionati storici Albergoni e Crisafulli nello splendido volume “Palermo. Immagini della memoria 1937-47” di cui è da poco uscita la seconda edizione, i rifugi antiaerei costruiti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale spesso non erano conformi alle normative di sicurezza emanate dall’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea). Queste gravissime infrazioni sono considerate la concausa di alcuni tragici eventi come la Strage di Piazza Sett’Angeli (di cui ricorre in questi giorni il 71° anniversario) quando un rifugio sotterraneo ubicato nella zona retrostante l’abside della Cattedrale fu centrato da una bomba americana causando la morte di decine di civili innocenti. Alcuni giorni dopo, un tributo di sangue ancor più pesante fu pagato dalla città di Marsala. L’11 Maggio 1943, anniversario dello sbarco dei Mille, una bomba americana centrò il rifugio di Villa del Rosario uccidendo trecentodieci persone sepolte dal crollo della volta costruita risparmiando sul cemento e sull’armatura e asfissiate per la presenza di una sola via di uscita, ad onta del fatto che le Norme UNPA ne prevedessero almeno due. Poteva pure non capitare che le bombe centrassero i rifugi, ma invece purtroppo capitò.

A distanza di oltre 70 anni e a meno che non si accetti l’ipotesi che l’Eternit, che deve il nome alle caratteristiche di resistenza agli agenti fisici e chimici, possa rimanere intatto anche quando manipolato dai denti di una benna o calpestato dai cingoli di una ruspa, la storia si ripete. Come nei corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico. La città attende fiduciosa che le indagini della Magistratura chiariscano fatti. E se si dovesse accertare che imprenditori e maestranze senza scrupoli hanno anteposto le ragioni del proprio profitto a quelle della salute della collettività ci sarebbe da esclamare, parafrasando Amleto: “C’è del marcio a Palermo”.

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