Cento anni dalla nascita di Goliarda Sapienza: essere catanesi

Cento anni dalla nascita di Goliarda Sapienza: essere catanesi

La sua è la biografia di una città
LA SCRITTRICE
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CATANIA – Si può essere Goliardi e Sapienti nella stessa vita? Diabolici, trasgressivi, ironici e, allo stesso tempo, angelici, posati saggi? Goliarda Sapienza (10 maggio 1924) aveva all’anagrafe ambedue le caratteristiche. Una è impressa nel nome, che racconta chi siamo; l’altra nel cognome, che descrive a chi apparteniamo.

Essere siciliana e catanese può spiegare. La Sicilia è una Terra che ha visto tutto, senza nemmeno doversi spostare. Nel vedere tutto sa bene come vanno a finire le cose. Sa bene che gli esseri umani non sono proporzionati alle loro ambizioni. La Sicilia osserva e attende che le cose si compiano, sapendo già come andranno a finire.

Essere Catanese è diverso. E’ vero, gli esseri umani sono mediocri, ma di essi se ne ha la necessità. L’Etna non va mai in letargo, e la difesa della città la devono fare insieme tutte queste mediocrità, che sommate tra loro, diventano cittadini e si elevano da questa mediocrità personale.

Goliarda è Catanese per parte di nome ma appartiene alla Sicilia per parte di cognome. “Il monte il mare/i fiumi/del tuo ventre/le albe/della tua fronte/questo vorrei ritrovare”

Cento anni dalla sua nascita sono anche cento anni urbani di Catania. Nel ricordare il suo centenario, forse è giusto rammentare come lei, pur distante dalla sua città, segua le sue vicende anche da lontano, con un punto di vista forse più lucido di chi la vive.

Nel libro Io, Jean Gabin, lei celebra l’architettura e la socialità della città, e in particolare del suo quartiere natio: San Berillo. Quello dove vive e opera, soprattutto, il Maestro Puparo Insanguine, da cui lei inizierà a imparare gli strumenti dell’attore, e in particolare quelli utili alla conoscenza del personaggio da recitare.

Leggevo, per tutto il giorno. Leggevo e imparavo a memoria tutti i lavori teatrali che trovavo per casa. La notte poi li recitavo da sola facendo tutte le parti, come i pupari. Il Commendatore Insanguine mi aveva detto che, solo facendo tutte le parti come il puparo, s’imparava a conoscere i personaggi diversi da noi. Imitando le loro voci, ora da uomo ora da donna, ora da vile ora del valoroso, si diventava attori veri.”

Consiglierei di rileggere questo suo libro, perché è un punto di vista lucido e senza scuse di un periodo di storia che ormai sta per chiudersi rovinosamente, in cui siamo stati capaci di distruggere e sventrare senza saper ricostruire adeguatamente e, in alcuni casi, senza nemmeno farlo. “Hanno demolito il mio quartiere e non tornerò più. Quello che non hanno fatto i Fascisti, sono riusciti a farlo i Democristiani”

Goliarda Sapienza è testimone oculare e attendibile, di un periodo della storia che si ricorderà come quello della grande illusione sul progressivo e ineluttabile miglioramento dell’umanità, che invece era sconfessato in tempo reale e visto da pochi.

Tra cui lei, frequentatrice delle anime dei Pupi che, tra uno spettacolo e l’altro, stavano appesi a muri secolari, dormendo ad occhi aperti.

Lei, frequentatrice giovanile sia dei Pupi, sia dell’umanità sbandata ma viva di San Berillo, che in una notte adulta e randagia di Roma, forse raccontò tutto questo a Pasolini, che poi creò quel piccolo capolavoro di nemmeno trenta minuti, in cui egli si avventura intorno a questa contraddizione umana, che ci fa miseria furente quando siamo davanti al pubblico, tenuti in vita dalle fila del Puparo, e indifesi osservatori dell’eternità quando riposiamo di notte, dentro una morte apparente, preparandoci a rinascere per una nuova avventura.

Sì. Straziante bellezza del Creato, che Goliarda Sapienza ha capito tra lo Jonio e la Montagna, essendo Siciliana e Catanese.


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