PALERMO – Si va verso il testa o croce (in campo bianco a forma di scudo?) nel centrodestra, dove per ora è torneo di lancia fra candidati di bandiera. Nel bel mezzo di #LivePalermo2022 – campagna elettorale per le amministrative del capoluogo, epocali per il dopo Orlando e per l’anno zero del probabile dissesto – per il centro che sta sul bilico della moneta, è facile perdere la prima e portare la seconda.
La testa e la croce. Gli ultimi frame, infatti restituiscono la controffensiva centrista a quella che pare ormai la deriva fluente nella scelta del candidato di coalizione. Francesco Cascio, nella sua intervista a Live Sicilia, ha messo il timbro dell’ufficiosità a quello che ormai pare l’esito naturale della stasi di bordo campo del candidato in pectore degli ultimi mesi: il professore Roberto Lagalla. Questi, approdato ufficialmente in quota Udc, è un nome “secco”, poco compatibile, lo sanno tutti, con lizze, nastri di partenza, primarie di corridoio, ballottaggi: era l’idea, all’inizio coltivata fra gli altri e sugli altri pure dal coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, che avrebbe garantito l’unità ab origine, come elemento equilibratore di partenza: non appartiene ad alcuno dei partiti forti della coalizione, che avrebbero così avuto mani libere nella negoziazione alluvionale – con foce in occasione delle elezioni regionali – sulle altre e alte cariche in ballo alla Regione e all’Ars.
Il piano pare complicato, per ora, perché a bordo campo – espressione brillante usata dallo stesso Lagalla – c’è chi ciondola in tuta e chi si è già scaldato e allaccia gli scarpini (Cascio); vuoi perché la testa (del partito appunto di testa, soprattutto, dentro l’alleanza, che è quello di Miccichè) va messa d’accordo sempre con la pancia. E la pancia del partito, che vede fiorire candidature come funghi, non ci sta volentieri a essere l’unica base a non poter sentire garrire la propria bandiera. E il centro democristiano (ex o a tutti gli effetti di brand, cioè Cuffaro) invitato posticcio ai vertici d’area, si dirà, il centro che fa? Quel centro al quale, probabilmente, la candidatura Lagalla avrebbe fatto passare molti mal di pancia, per restare in tema? Non ci sta, è chiaro. Davide Faraone, con tutti i sarcasmi a codazzo della propria candidatura, se non flirta, quantomeno parla amabilmente con Cuffaro, fa appelli espliciti al centro moderato, cerca di scavalcare proprio al centro i paradossali rivali di Sicilia Futura (paradossali perché protagonisti della condivisione della stessa sigla di Italia Viva in consiglio comunale) che con Miccichè hanno stretto un patto di acciaio temperato rinforzato con il cemento. Ha anticipato le mosse, Faraone, va detto a suo merito, è venuto allo scoperto prima che dalle parti azzurre iniziasse a premere seriamente l’ala “bandierista”.
Ma poi, dopo che anche Francesco Scoma, candidato per la Lega, aveva fatto intendere che porterà sostegno, nel caso egli stesso non ce la facesse, al candidato comune, è sbottato, inusualmente Saverio Romano, leader di Cantiere popolare. Insomma, l’impressione è che lì verso il centro molti temano che in troppi stiano tirando la volata a Cascio e che in tanti tirino a “fregare”, politicamente parlando, quantomeno la collaudata e folta macchina elettorale cristianodemocratica.
L’assemblea nazionale di Noi con l’Italia si è trasformata, in versione #LivePalermo2022 e meno platealmente, in quello che l’assemblea sui rifiuti organizzata da Raffaele Stancanelli era stata alcuni giorni fa per Musumeci eletto a bersaglio degli alleati in prospettiva ricandidatura. Meno esplicitamente, certo: e però Romano alla vigilia dell’appuntamento ha dato di fatto l’ultimatum: “Prima i programmi – ha detto alla nostra Roberta Fuschi – e poi il candidato”. Romano non ha esitato a bollare negativamente “le fughe in avanti”.
Leggasi: se non si trova la quadra sul nome comune, beh, allora ciascuno per sé, fino alla decisione da parte dello stesso Romano di scendere in campo personalmente. Poche ore dopo, Totò Cuffaro, strade politiche in gran parte comuni e amico di sempre di Romano, ci ha messo il carico: “Se Saverio si candida, saremo con lui”. Il peso dei voti: non è ancora chiaro se pretatticamente da bordo campo o direttamente alle urne oppure in meno probabili primarie a carte scoperte, storicamente indigeste a gran parte della cultura d’area. Buona la prima, forse.
Calmiere popolare, Cuffaro, che usa una semplice capriola sulla locuzione-coalizione per farsi intendere bene: “Sì al centrodestra, no al destracentro, che ci farebbe solo perdere”. Intanto annuiva, il popolarautonomista Roberto Di Mauro, che ha poi smussato le proprie esternazioni, negando avvicinamenti smodati e intese separate.
I lombardiani, appunto: quelli che stanno mantenendo il profilo pubblico più basso e che però in più snodi non hanno fatto mistero, soprattutto negli ultimi tempi, dei propri distinguo in seno alla coalizione che alla Regione sostiene Musumeci.
In mezzo alle maree di centrodestra, la mina vagante Francesca Donato, che corre libera ma che, al rendiconto elettorale, potrebbe aggiungere un pezzetto a un’altra faccia del laboratorio Sicilia: riportare a casa centrodestra un po’ di voti no vax e no Green pass delusi in continente da Salvini e Giorgetti.
All’unità originaria non è abituato di certo il centrosinistra, che infatti guarda alle primarie di coalizione con molta maggior naturalezza: quello che per gli avversari è uno spauracchio fuori tempo massimo che registrerebbe il fallimento del rinomato Genio pontieri da consumati moderati, per il centrosinistra è camera di decantazione naturale delle tensioni. Permette di prendere tempo, in attesa che gli orlandiani trovino tempo e misura e modi (cioè liste) del rientro in gioco – la sinistra di Giusto Catania ha aperto le danze in autonomia elettorale – e permette pure di organizzarsi.
Così, ogni nome nuovo che spunti, non desta lo stesso clamore e disagio che reca a centrodestra. Anzi: se l’avvocato Nino Caleca parla amabilmente con i Cinquestelle di candidatura, si salvano tante capre, cavoli e soprattutto facce che si apprestano a correre insieme dopo essersi fatte la guerra in consiglio. Le primarie come vaticinio, verdetto da rispettare. Certi uomini di punta già ben desti del Pd, come il deputato nazionale Carmelo Miceli, lo sanno. E magari sanno – o giù di lì – come potrebbe andare a finire.