Chili di droga come cassette del pesce |Due condanne e un'assoluzione - Live Sicilia

Chili di droga come cassette del pesce |Due condanne e un’assoluzione

Condannati Giuseppe Scalia e Massimiliano Crini per un traffico internazionale di cocaina che, nel marzo 2011, aveva portato all'arresto di 12 persone. A capo della banda un pescivendolo di Santa Flavia, nel palermitano, che nelle telefonate intercettate indicava i carichi di droga come cassette di pesce. Assolto, invece, il bagherese Paolo Audia.

OPERAZIONE 'LAMPARA'
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Giuseppe Scalia

Giuseppe Scalia

PALERMO – Movimentavano chili e chili di cocaina acquistata a Barcellona, in Spagna, con destinazione Napoli, Puglia e, infine, Sicilia. Il tribunale di Palermo ha così condannato Giuseppe Scalia, 54 anni, del quartiere San Lorenzo di Palermo a 10 anni di reclusione, e Massimiliano Crini, 41 anni, di Cruillas a 6 anni e tre mesi. Assolto, invece, il bagherese Paolo Audia, 44 anni.

L’operazione “Lampara” che aveva portato al loro arresto, insieme ad altri dieci indagati, nel marzo 2011, è stata eseguita dalle squadre mobili di Trapani e Palermo, coordinate dai pm Marcello Viola (oggi procuratore capo a Trapani) e Pierangelo Padova. Crini e Scalia – a quest ultimo è stata riconosciuta la recidiva specifica – sono accusati di aver trasportati 11 chili di cocaina purissima (valore al dettaglio: un milione di euro) e di essersi adoperati per farla giungere nelle mani di Giuseppe Lo Coco, detto “giò giò”, ufficialmente un pescivendolo di Santa Flavia ma ritenuto il capo banda e condannato in abbreviato a 16 anni di reclusione.

Crini e Scalia sono stati incastrati dalle numerose telefonate intercettate dove, per indicare i chili di droga, si faceva riferimento alle cassette di pesce. Crini, inoltre, avrebbe anche recapitato a Milano un busta all’interno della quale si trovava una sim che poi è stata consegnata a Lo Coco per mettersi in contatto col pusher di Barcellona. Il vasto giro di droga fruttava alla banda circa 30 mila euro al giorno. E i boss di Cosa nostra avrebbero assentito. Nell’inchiesta, infatti, sono finiti anche Paolo Liga, nipote di Giuseppe Scaduto, ritenuto il capo della famiglia di Bagheria, già condannato anche lui a 16 anni.


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