Ciancio, il furto in villa e l'annuncio |"Ricompensa di 50 milioni" - Live Sicilia

Ciancio, il furto in villa e l’annuncio |”Ricompensa di 50 milioni”

L'annuncio pubblicato su "La Sicilia"

Dopo le parti civili il 15 marzo sarà il turno della difesa.

L'udienza preliminare
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CATANIA – Potrebbe arrivare già la prossima settimana la decisione del Gup Loredana Pezzino sul processo a Mario Ciancio. La giudice dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno avanzata dai pm Antonino Fanara e Agata Santonocito nei confronti dell’editore e direttore del quotidiano La Sicilia. Il 15 marzo sarà il turno dell’avvocato Carmelo Peluso, difensore dell’imprenditore catanese. L’ultima udienza è stata dedicata alle discussioni degli avvocati di parte civile, l’avvocato Goffredo D’Antona per i fratelli del commissario ucciso dalla mafia Beppe Montana e l’avvocato Dario Pastore per l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, che si sono associati alla Procura nella richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato.

Pastore nella sua lunga discussione evidenzia che sotto processo “non c’è la linea editoriale del quotidiano ma la persona”. I giornalisti sono “inconsapevoli e quindi vittime” di quello che viene definito più volte dalla Procura il “sistema Ciancio”. Un sistema che avrebbe permesso all’imprenditore di poter chiudere affari a 6 zeri. Un caso su tutti l’affaire Porte di Catania, centro commerciale promosso dalla Icom srl (di cui il 19,5% delle quote di proprietà di Mario Ciancio e il 13,3% di Guarnaccia, moglie dell’editore) che doveva sorgere su un terreno agricolo di 240 mila metri quadri. Per la realizzazione era necessaria una variante al Prg per far diventare l’area “zona commerciale”. La variante arriva in consiglio in diverse sedute (24 dicembre 2004, 20 gennaio 2005, 27 gennaio 2005, 10 febbraio 2005, 16 febbraio 2005, 24 febbraio 2005) fino all’approvazione del 25 febbraio 2005. In aula arriva un “peso massimo” della politica Mimmo Sudano, all’epoca vicesindaco e assessore all’Urbanistica del Comune, che mette al voto la variante Icom insieme a quella per la realizzazione dell’ospedale San Marco. Ciancio per la realizzazione del mega shopping center si legge nei faldoni della procura “riceveva il prezzo complessivo di oltre 28 milioni di euro”.

Pastore va indietro nel tempo e precisamente al 1980 (anno precedente alla contestazione della Procura che parte dal 1982). L’avvocato riprende le dichiarazioni del pentito (di area palermitana) Francesco Di Carlo che fanno riferimento all’arresto di Benedetto Santapaola per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari, avvenuto nell’estate del 1980. Di Carlo avrebbe avuto un appuntamento con il capo di Cosa nostra catanese nella concessionaria Pam Car, lì avrebbe saputo dell’arresto di Nitto dal fratello Salvatore che gli avrebbe detto che stavano cercando di fare arrivare notizie ai carabinieri di Trapani tramite “Ciaccio, imprenditore di Catania nel campo dell’editoria”. Poi l’avvocato cita la visita di Pippo Ercolano al quotidiano La Sicilia per l’articolo sull’Avimec descritta come una ditta mafiosa. Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei lavori pubblici” racconta “dell’incontenibile esplosione d’ira” del boss. Siino avrebbe accompagnato Ercolano in viale Odorico da Pordenone. Il capomafia avrebbe dimostrato di “conoscere bene i luoghi e di volere conto e ragione di quanto pubblicato”. Ciancio confermerà quanto accaduto e riferirà di un tono “scherzoso” e di “ordinaria amministrazione”. Ma per Pastore una cosa è certa: “Essere ricevuti da Ciancio è un privilegio” non permesso a tutti. Dopo la visita al quotidiano Pippo Ercolano avrebbe ricevuto “una sorta di procedimento disciplinare” (così lo definisce l’avvocato) da parte dei vertici. “Ercolano era stato posato” – raccontano i pentiti – e le redini furono affidate al figlio Aldo. Ciancio “era stato sempre cortese con la famiglia”, racconta agli inquirenti Siino. Francesco Squillaci (figlio di Giuseppe) racconta che sarebbe stato organizzato (tra la fine degli anni ’80 e inizi anni ’90) un falso attentato a casa di Mario Ciancio in quanto l’imprenditore si sentiva il “fiato sul collo” e “cercava di crearsi una verginità” come vittima di mafia. Fu utilizzato un ordigno con una dose minima di esplosivo. Dalle immagini del sopralluogo si nota infatti come l’esplosione provocò solo delle bruciature ad alcune foglie delle piante presenti in giardino. Di quell’episodio – come ha accertato il Ros – non è mai stato pubblicato un articolo.

Pastore durante la sua discussione passa in rassegna altri episodi, dalla mancata pubblicazione del necrologio su Beppe Montana, allo spazio invece che il giornale ha concesso a Nitto Santapaola con un’intervista e alla pubblicazione della lettera del figlio Vincenzo Santapaola.

L'annuncio pubblicato su "La Sicilia"

Tra i passaggi interessanti anche il furto di opere d’arte e pezzi d’antiquariato nella villa di contrada Cardinale di Mario Ciancio commesso l’11 marzo 1992. Pochi giorni dopo fu pubblicato un articolo sul colpo messo a segno a San Giorgio. Il 21 marzo viene pubblicato (nella foto) una sorta di annuncio per la “ricompensa di 50 milioni” di lire per la restituzione degli oggetti trafugati. La denuncia arriva ai carabinieri solo il 31 marzo tramite fax (“Un biglietto di cancelleria”, lo definisce l’avvocato di parte civile). Nella ricostruzione cronologica dei fatti c’è qualcosa che non convince Pastore, ma poi arrivano le dichiarazioni dell’autore del furto Giuseppe Catalano (ex clan Laudani) che chiarirebbero la vicenda. Il collaboratore racconta di essere stato “contattato dall’allora capo cosca Giuseppe Di Giacomo” (che ha confermato la versione) in quanto chiedeva notizie di quel colpo direttamente Aldo Ercolano. I Santapaola avrebbero detto a Catalano che la merce rubata doveva essere restituita al “loro amico” Mario Ciancio. Il pentito racconta ai magistrati che avrebbe restituito (quasi) tutto e avrebbe intascato la ricompensa di 50 milioni del vecchio conio. Il quasi è dovuto al fatto che Catalano aveva tenuto un quadro e un drappo che però l’ex affiliato ai Laudani usava come tappeto. Ciancio è stato interrogato su questo episodio, nei verbali si legge che “alcuni pezzi li avrebbe ricomprati ma che non si ricordava dove”. Diverse volte il pm contestò la versione fornita definendola “inverosimile”. Ma Ciancio ribadì di “non ricordare molto di più in quanto aveva subito molti furti e rapine” e “perché devo vivere a Catania”. Pastore riassume davanti al Gup la vicenda contenuta nelle decine di faldoni di questo processo, ma sull’annuncio della ricompensa pubblicato sul giornale si pone un interrogativo: “A chi era indirizzato?”. Per l’avvocato non ci sono dubbi: “A chi poteva intendere”.

 


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