Oggi a Caltanissetta Margherita Asta è stata l’unica parte civile, affiancata dal suo avvocato Vincenza Rando, ad assistere alla pronuncia della sentenza di appello che ha confermato la condanna a 30 del boss palermitano Vincenzo Galatolo, per la strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985. Margherita è la figlia e la sorella delle vittime, Barbara Rizzo era sua madre, Salvatore e Giuseppe, erano i suoi fratellini. Non c’erano la vittima designata dell’attentato, l’allora pubblico ministero Carlo Palermo, difeso dall’avv. Pietro Sorce, assente per malattia e sostituito da un altro legale, e gli agenti della scorta sopravvissuti, Totò La Porta e Nino Ruggirello. Il loro difensore ha delegato ad altro la propria rappresentanza. Presenti gli avvocati dei Comuni che si sono costituiti parte civile, Valderice, Erice e Trapani. “Essere oggi in aula – dice Margherita Asta – ha il significato di pretendere il diritto al riconoscimento della verità ma ha avuto anche il significato di dimostrare di come bisogna stare al fianco dei magistrati che lavorano per scrivere la verità”. Quelle oggi in aula, fa intendere sono state assenze che suscitano amarezza: “Non dobbiamo essere presenti solo a Pizzolungo quando ricordiamo la strage nel giorno dell’anniversario – aggiunge Margherita Asta – dobbiamo essere presenti ogni giorno e soprattutto quando vengono lette le sentenze a conclusione di istruttorie che hanno messo anche in evidenza come Cosa nostra agì il 2 aprile 1985”.
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“Quella di Pizzolungo – ha commentato il procuratore della Repubblica di Trapani, Gabriele Paci proprio nel giorno del 37° anniversario – fu una strage, un atto di barbarie incontrollata e inaudita. E accadde perché questo era il feudo di Cosa nostra cortonese in quanto loro a Trapani erano di casa grazie ai rapporti che avevano con i Messina Denaro che già allora erano i rappresentanti della provincia. Questa libertà ha consentito loro di compiere un atto di inaudita barbarie. Dobbiamo ricordare che Cosa nostra è quella di Pizzolungo. Questo è un punto della nostra memoria collettiva. Dobbiamo ricordare che la mafia è quella cosa lì, terribile, e che se abbassassimo la guardia domani potrebbero ricrearsi le condizioni affinché la mafia compia attentati del genere. È necessaria un’attività di ricerca perché su questa strage c’è ancora molto da scandagliare. Una indagine complessa perchè fu complessa l’articolazione dell’attentato, perchè complesso era la rete di Cosa nostra di quegli anni ’80. I magistrati a volte anche trovano dei limiti come, ad esempio, le sentenze di assoluzione che ci sono state e che mettono un sigillo irrevocabile sulla determinazione di alcuni fatti. Credo che lo sforzo debba essere collettivo: i magistrati non devono essere lasciati soli in questo tentativo perché questo tentativo a distanza di quasi quarant’anni sfiora il limite dell’impossibile in quanto si tratta di trovare prove su soggetti molti dei quali ormai non ci sono più. L’importante è che questa non diventi una strage dimenticata”.