PALERMO – Una maxi confisca di beni del valore di venti milioni di euro è stata eseguita dalla Direzione investigativa antimafia di Palermo nei confronti dell’imprenditore 48enne Salvatore Vetrano. Il complesso di aziende, beni immobili e conti correnti era stato sequestrato tra il 2013 ed il 2014 e ora è arrivato il decreto di confisca da parte della sezione Pena e misure di prevenzione del tribunale di Palermo, presieduta da Raffaele Malizia, al termine di un procedimento sostenuto in dibattimento dal pm Claudia Ferrari, dell’ufficio Misure di prevenzione della Procura, coordinato dall’aggiunto Marzia Sabella. Salvatore Vetrano e il padre Giacomo nel 2005 vengono citati in una ordinanza di custodia cautelare a carico di alcuni mafiosi come “vicini” a Cosa nostra e nel giugno 2012 l’imprenditore finisce in arresto per tentato omicidio nei confronti di Giuseppe Toia.
Secondo la Dia Vetrano avrebbe acquisito un consistente patrimonio immobiliare, con numerose aziende operanti nel settore del commercio di prodotti alimentari, “anche beneficiando di finanziamenti comunitari erogati dal Fondo europeo per la pesca in Sicilia, nonché sottraendo a tassazione ingenti ricavi imponibili, frutto della propria attività commerciale”. La Direzione investigativa antimafia, inoltre, ritiene di avere “provato la contiguità di Vetrano ad elementi di spicco di Cosa nostra, come Gianfranco Puccio e Giuseppe Salvatore Riina”, quest’ultimo figlio del capomafia corleonese Salvatore, e di avere “documentato come la sua scalata imprenditoriale fosse inserita all’interno di una commistione di interessi tra attività di impresa e attività mafiosa traendo, in un settore strategico del circuito dell’economia legale, sostegno, consenso ed ampia visibilità”.
Gli investigatori, inoltre, ricordano di avere sentito i pentiti Manuel Pasta, Andrea Bonaccorso, Salvatore Giordano e Sebastiano Arnone: questi “hanno confermato come le attività imprenditoriali di Vetrano fossero state realizzate grazie all’appoggio ed al sostegno di Cosa nostra, motivo per il quale – ancora la Dia – a Vetrano era stato richiesto di versare una quota in denaro a favore dell’associazione mafiosa o di provvedere all’eventuale assunzione di personale”. Secondo il pentito Vito Galatolo, inoltre, alcuni esponenti di Cosa nostra avrebbero investito direttamente denaro nelle attività di Vetrano. Il provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo si fonda anche sugli accertamenti patrimoniali compiuti per il periodo che va dal 1988 al 2012 e riguardanti il bilancio familiare, il tenore di vita e i flussi finanziari riconducibili all’imprenditore: controlli che secondo gli inquirenti “hanno evidenziato una significativa situazione di sperequazione, tale da indurre a ritenere che il suo nucleo familiare abbia tratto, nel tempo, il sostentamento da proventi illeciti”.
Questi i beni confiscati: l’intero capitale sociale e il compendio aziendale di cinque società di capitali, tra cui la ‘Veragel srl’ di Carini, attive nel settore della commercializzazione di prodotti ittici e in quello immobiliare; 13 immobili, tra cui appartamenti, magazzini e terreni, a Palermo, Carini, Trabia, Marsala (Trapani) e Sciacca (Agrigento); i corrispettivi delle vendite di un immobile, due imbarcazioni da diporto, due motori fuoribordo da 250 cavalli e un’auto; libretti nominativi ordinari, conti correnti bancari, depositi a risparmio, investimenti assicurativi e rapporti finanziari. Il Tribunale di Palermo ha inoltre applicato nei riguardi di Salvatore Vetrano la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per due anni e sei mesi, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
(DIRE)