PALERMO – Un imprenditore prima in affari con i boss e poi egli stesso divenuto mafioso. Ecco perché è stato confiscato il patrimonio di Francesco Paolo Sbeglia. Il provvedimento è della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta da Giacomo Montalbano, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero Calogero Ferrara. Regge, dunque, l’impianto accusatorio che aveva già convinto la vecchia sezione Misure di prevenzione, quella presieduta da Silvana Saguto, il giudice travolto dall’inchiesta giudiziaria.
Sbeglia, condannato con due sentenze definitive per mafia e riciclaggio, secondo l’accusa, “ha esercitato la propria attività di imprenditore edile, coltivando e servendosi di quella rete di relazioni con esponenti di vertice dell’associazione mafiosa Cosa nostra”. Erano i padrini della vecchia mafia: Nino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura. Sbeglia si è arricchito in maniera illecita “attraverso il condizionamento, con i metodi tipici dell’organizzazione mafiosa, del settore di mercato in cui ha operato impiegando beni, denaro ed altre utilità provenienti dai delitti commessi dai boss”.
Su decisione del collegio, di cui fanno parte anche i giudici Luigi Petrucci e Giovanni Francolini, passano al patrimonio dello Stato una sfilza di beni: Rekoa srl, Agricoltura e Giardinaggio sas, Domè srl, Costruire srl, Fra.Ma srl, Immobiliare Palagio srl, Cedam srl,una decina di immobili e magazzini in via Albergheria e via Margherita di Savoia, depositi e conti correnti bancari.