CATANIA – Corri Giulia!. Ecco il racconto premiato al Concorso nazionale “Sulle vie di parità 2020” in collaborazione con il Premio “Italo Calvino”(sezione narrativa). Nuovo riconoscimento per l’Istituto Vaccarini di Catania e per gli studenti che, da anni, sono impegnati nel contrasto alla violenza di genere, guidati da un’infaticabile professoressa Pina Arena,
Corri, Giulia!
Giulia aprì gli occhi prima che suonasse la sveglia. Aveva sogni confusi sulla giornata che stava per cominciare, tutti finiti in catastrofe, e non c’era ragione per cui fosse già in piedi. La sera prima aveva preparato accuratamente tutto quello che le sarebbe servito: lo zaino era già chiuso e dalla tasca davanti sbucava la busta della lettera, lilla e ben sigillata per evitare qualsiasi ripensamento. Prima che arrivasse il momento di uscire di casa, l’unica cosa che le restava da fare era impedirsi di cambiare idea. Ripose la lettera nel cassetto, nell’angolo dove lei, la madre, avrebbe frugato, appena alzata, per prendere la tazzina del caffè mattutino: stavolta avrebbe trovato anche la lettera lilla, l’avrebbe letta, avrebbe capito, alla fine. Uscì in fretta, senza curarsi di non far rumore. Se lei si fosse svegliata, forse….
Era livida, pallida come Giulia, quell’alba, fredda. O forse era Giulia a sentirla fredda. Ora doveva affrettarsi, non guardare indietro, perché da qui doveva ricominciare tutto. Senza voltarsi indietro. Silenzio attorno: eppure le solite urla della sera frastornavano ancora la sua mente, le sue orecchie, la sua testa: lui, il padre, gridava perché la zuppa era fredda; la sera prima aveva urlato perché era troppo calda; urlava perché era brutta lei, la moglie, con quella vestaglia vecchia; la sera prima aveva urlato perché lei aveva comprato una vestaglia nuova, costata chissà quanto. Urlava perché lei era sciatta o perché si curava, perché spendeva troppo o perché non spendeva niente. Sbatteva il pugno sul tavolo. Era arrivato a colpirla, al braccio, poi al petto, al viso…
No, Giulia non aveva visto, ma aveva sentito, ma era peggio che vedere, senza poter dire una parola, perché così voleva la madre. Giulia era nella stanza accanto, ma sentiva, sentiva, con il cuore che scoppiava, con le gambe agghiacciate dalla rabbia, dalla paura, dal dolore. E non finiva lì: poi arrivavano i sogni e finivano sempre in catastrofe. Si svegliava di soprassalto.
Vai Giulia, fermalo, urla più di lui, libera tua madre. No, lei non vuole, non vorrebbe, lei crede o finge di credere che Giulia non abbia sentito nulla, o forse poco, forse qualcosa. Lei pensa che passerà, che lui tornerà buono, com’era prima, com’era quando l’ha conosciuto. Lei crede che domani tutto sarà passato. E invece tutto ricomincerà uguale a prima, peggio di prima.
La strada era ancora deserta, solo poche macchine si muovevano lente. La stazione non era lontana. Sarebbe andata via. Senza ripensamenti. Tutto sarebbe stato diverso, era importante solo questo: che fosse diverso. Altro non chiedeva, altro non sapeva. Sarebbe riuscita a non voltarsi indietro. Era la cosa giusta non voltarsi indietro? Quando ricominci non sai dove vai, anche quando credi di saperlo. È lì il punto. Non voltarsi indietro. Andiamo via mamma, scappiamo -quante volte lo aveva ripetuto- voliamo via, ricominciamo, in un’altra casa, in un altro mondo, dove potrai avere tutte le vestaglie vecchie e nuove che vorrai, dove la zuppa fredda e quella calda saranno buone sempre, dolci sempre.
Ora la stazione era vicina. La strada si faceva sempre più affollata. Studenti insaccati nelle giacche si muovevano lenti, con sguardi di sonno. Camminava rapida verso la biglietteria e nemmeno il sorriso di un ragazzo infreddolito e gentile riuscì ad aprire uno spiraglio di luce. Le tornavano in mente le parole della madre: era buono prima, tornerà ad esserlo. Quando tornerà ad esserlo, mamma? Perché credi che tornerà ad esserlo? Non è cambiato anche se hai gridato, pianto, supplicato, taciuto, obbedito. Ecco il biglietto. Era stanca, Giulia: di tacere, di star ferma, di aver paura, di fingere di non vedere. Il biglietto del treno che la porterà via ora è nelle sue mani. Ma perché non riesce a sorridere? Fuga, libertà, aria, vita nuova! Si sarà alzata, avrà letto la lettera? E lui si sarà accorto della fuga? No, mamma, non piangere, ti prego. Se ti vede piangere, che farà? Che dirà? Fermati, lascia stare mia madre, non toccarla, non sfiorarla. Sono stata io a scegliere di andar via. Lei non c’entra. Lei scopre tutto ora. Non è vero che è un’incapace, lei è mia madre.
Giulia ora correva, correva veloce, più veloce che poteva, con lo zaino in spalla, ma correva egualmente, non era più stanca: tornava sui suoi passi sì, ma non era ripiego, ritornava da lei, non poteva lasciarla sola, non poteva lasciare che restasse nella casa, sola, con lui. Doveva portarla via, via, con sé. Corri, Giulia! Il cuore scoppia e tu corri ancor più forte. Sei sotto casa. Chi è quella donna? È lei. Sembra una bambina spaventata, con una valigia, cammina rapida, affannata, guardinga e senza voltarsi indietro neanche quando, dalla finestra, lui, il padre, si affaccia urlando chissà quali parole, sbattendo chissà quale oggetto. Lei ha un foglio gualcito in mano: una lettera lilla. Mamma, sono qua, eccomi. Corri… Andiamo. Non ti lascio da sola, non lasciarmi sola.
Racconto di Anastasia La Viola, Martina Di Stefano, Vittoria Nicosia, Mariapia Privitera (classe 4C Liceo Scientifico) Docente: Pina Arena —-IIS”Vaccarini” Catania