RANDAZZO (CATANIA) – Fu un sequestro importante perché quei due fucili, trovati nel 2023 in un terreno attiguo alla proprietà della famiglia Sangani, sono considerate le “armi di Cosa Nostra”. C’erano anche varie munizioni. E qualche tempo fa la Procura di Catania ha riaperto l’inchiesta su un terribile delitto avvenuto in campagna oltre trent’anni fa, il triplice omicidio di un pastore, Antonino Spartà, e dei suoi due figli, Pietro Giuseppe e Salvatore.
L’ipotesi era che le armi sequestrate fossero proprio quelle del delitto. Ma l’incidente probatorio lo ha escluso. Né la doppietta calibro 12 né il monocanna dello stesso calibro – rinvenuto in quel terreno di contrada Dagala Longa – furono usati nel ‘93. A renderlo noto sono fonti vicine alla difesa di Salvatore Sangani, che è assistito dall’avvocato Luigi Zinno.
Il sequestro di armi
Sulle armi i Ris di Messina hanno eseguito delle comparazioni, svolgendo un lavoro enorme – su richiesta della Procura, accolta dal gip – alla presenza dei consulenti della difesa, e la conclusione non lascerebbe adito a dubbi. Va precisato che fonti di difesa escludono anche ogni responsabilità della famiglia Sangani in relazione alla detenzione di armi.
Del resto il terreno dove è avvenuto il sequestro, che per i carabinieri sarebbe stato “nella disponibilità” della famiglia mafiosa, in realtà non appartiene a loro. E disterebbe alcuni chilometri dalla proprietà dei Sangani. Per la difesa loro, anzi, i Sangani non c’entrerebbero nulla neanche con le armi.
L’assoluzione al processo
Del resto Salvatore Sangani, che sarebbe stato iscritto sul registro degli indagati per l’ipotesi di aver fornito le armi del delitto, è già stato assolto con formula piena dall’accusa di aver avuto un ipotetico coinvolgimento nell’omicidio.
Per l’omicidio è stato condannato invece in via definitiva Oliviero Sangani. Una decina d’anni fa era stata disposta la revisione del processo. La condanna è stata confermata. È stato ritenuto dalla giustizia l’unico responsabile dell’omicidio. Fonti vicine alla sua difesa hanno spesso sostenuto quanto possa essere improbabile che una persona possa aver agito da sola.
Il processo Terra Bruciata
Al processo Terra Bruciata, intanto, per il presunto boss Salvatore Sangani, detto “turi”, sono stati chiesti 30 anni di reclusione. L’accusa qui è associazione mafiosa, perché Turi Sangani, secondo l’accusa, avrebbe capeggiato in città un gruppo criminale che sarebbe stato legato a doppio filo, come si dice in questi casi, con il clan Laudani, i cosiddetti “mussi i ficurinia”.
La stessa pena è stata chiesta per il figlio di Sangani, Francesco. 15 anni invece sono stati chiesti per Michael. Il prossimo 22 aprile riprenderanno le arringhe dei difensori. L’avvocato Zinno ha già discusso in riferimento alla posizione di Micheal Sangani, chiedendone l’assoluzione.