"Covid, in ospedale cambia poco: anche i giovani a rischio"

“Covid, in ospedale cambia poco: anche i giovani a rischio”

Intervista al primario del pronto soccorso del 'Cervello'. Fragili, vittime e posti letto occupati.
PALERMO - LA PANDEMIA
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2 min di lettura

“Il Covid è finito? Ma lo sa che non ce ne siamo accorti? Da noi è cambiato pochissimo, in termini di fatica, stanchezza e dolore”. Tiziana Maniscalchi, primario del pronto soccorso Covid dell’ospedale ‘Cervello’ di Palermo, trova un minuto per rispondere al telefono, in un altro giorno complicato, e usa l’arma dell’ironia. I contagi ci sono, il virus circola, mentre si discute sulle regole da seguire, su come convivere con una pandemia, mettendo insieme libertà e prudenza. Il professore Antonio Cascio, infettivologo, propone, per esempio, di chiudere i reparti dedicati al coronavirus, il commissario per l’emergenza, il dottore Renato Costa, predica attenzione.

ospedali palermitani
Tiziana Maniscalchi, primario Pronto soccorso ospedale Cervello

E lei, dottoressa?
“Cominciamo dai numeri, visto che sono anche la ‘bed manager’, cioè, la responsabile dei posti letto a Palermo e provincia”.

Cominciamo dai numeri.
“Abbiamo l’ottanta per cento di posti ordinari occupati, nei reparti Covid. In terapia intensiva siamo al cinquanta per cento dei posti letto attivati e al trentacinque per cento di quelli attivabili, in caso di necessità. Lei che ne dice?”.

Dica lei…
“Aggiungo un altro particolare”.

Prego.
“Ho parlato con il personale che lavora alla camera mortuaria del ‘Cervello’. Nel weekend lungo di Pasqua ci sono stati quattordici morti, di cui tredici per Covid”.

Sembrano dati drammatici.
“Mi lasci continuare. E’ fisiologico che ci siano tanti ricoverati tra i vaccinati con due, tre o anche quattro dosi, perché rappresentano la percentuale quasi totale della popolazione ed è vero che, comunque, i vaccini evitano, generalmente, il decorso gravissimo della malattia, ma ci sono i fragili che se la passano malissimo. Anche giovani. Li vediamo ogni giorno”.

Anche giovani?
“Come una ragazza di diciotto anni di cui ci stiamo occupando che è a rischio perché ammalata di una patologia importante. E non è mica la sola”.

In conclusione?
“Direi che stiamo correndo un po’ troppo e vengo al punto. La chiusura dei reparti Covid per lasciare spazio a quelli misti è un obiettivo da auspicare, ma siamo ancora lontani”.

Perché?
“Perché le persone si contagiano, perché i fragili stanno male e possono morire, specialmente se sono trapiantati o immunodepressi. Perché abbiamo bisogno di proteggerli e di proteggerci”.

Lei ha lavorato durante le feste?
“Certo, a Pasqua e a Pasquetta eravamo qui in ospedale, con i nostri trentacinque accessi al giorno. Se il Covid sta finendo, come le dicevo, noi non ce ne siamo accorti”.

Ma il professore Cascio…
“Non entro in polemica con nessuno, oltretutto conosco e stimo il professore, dico solo quello che vedo. Parlare di ospedali misti è prematuro. Qui ci stiamo svenando, in termini sempre di fatica, con anticorpi e terapie”.

Cosa le pesa di più?
“La sofferenza che dura e vedere gli anziani che muoiono da soli”.


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