"Saro più responsabile di Totò" - Live Sicilia

“Saro più responsabile di Totò”

"Buttanissima Sicilia". Invettiva feroce. Il titolo del nuovo libro di Pietrangelo Buttafuoco. L'autore ci svela il perché.

L'intervista
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9 min di lettura

PALERMO- “Lo Statuto ci ucciderà. L’autonomia ci ucciderà”. Ucciderà noi siciliani. Ucciderà questa “Buttanissima Sicilia”, raccontata nel nuovo libro di Pietrangelo Buttafuoco. Un’Isola sospesa tra occasioni mancate e ultime chiamate. Dilaniata dalla contrapposizione nuovamente vecchia tra la mafia e la mafia dell’antimafia. Tra un’identità che non esiste più, e la retorica che copre tutti gli odori, come i deodoranti di pessima qualità.

Buttafuoco, lei parla di “Buttanissima Sicilia”, ma non sarebbe il caso di parlare anche dei “buttanissimi siciliani”? È possibile che, magari, questa terra sia esattamente come i siciliani la vogliono?

“Non credo. È la Sicilia che trasforma tutti noi. Noi che siamo rapiti, soggiogati dalla sua bellezza. Al punto da non poter mai giungere a un accordo tra i nostri sentimenti contrastanti. Come coloro i quali vogliono partire quando sono qui, ma vogliono tornare quando qui non sono più”.

Come si esce allora da questa “magia”, da questo incantesimo delle contraddizioni?

“Serve oggi più che mai una vera e propria presa di coscienza. Ma non è facile. È come quando si scopre di essere cornuti. Siamo cornuti. Ma continuiamo a vedere la Sicilia bella, importante e desiderata”.

Lei racconta, nel suo libro, con toni molto critici, soprattutto gli ultimi fatti. L’ultimo anno e mezzo di questa Sicilia, nelle mani di quello che lei definisce il “Pappagone”: il nuovo governatore Rosario Crocetta. Ma le chiedo: è possibile che la colpa sia di Crocetta? Non crede, semmai, che il nuovo governatore abbia ereditato una Sicilia violentata da chi l’ha preceduto?

“Nel mio libro racconto un anno e mezzo di mistificazioni. Per carità, non credo che Crocetta sia l’unico responsabile di questa tragedia. Penso, semmai, che si sia trovato col cerino in mano. Ma proprio per questo, lui avrebbe la possibilità di prendere coscienza dello stato in cui ci troviamo. Una situazione di piena emergenza, di disastro totale”.

Un disastro, insisto, che non può essere attribuito a Crocetta nei confronti del quale lei usa toni molto duri. Mentre traspare persino un po’ di compassione nelle vicende di Cuffaro e Lombardo. Due governatori condannati per mafia. Le chiedo: non pensa che anche questo sentimento di compassione impedisca quella ‘presa di coscienza’ dei siciliani che lei auspica?

“Guardi, le vicende di Cuffaro e Lombardo non sono le vicende di due uomini, di due presidenti. Quelle sono vicende che riguardano tutti. Dal più innocente al più colpevole. Oggi certamente non abbiamo bisogno di vendette. Questa Sicilia non ha bisogno di vendette. La vendetta infatti sottrae alla responsabilità. Alla ormai necessaria presa di coscienza”.

Mi scusi, ma una volta “preso coscienza” degli errori del passato e del presente, che si fa? A cosa porta questa nuova consapevolezza?

“A farci comprendere ad esempio che lo Statuto speciale è la trappola che ci siamo creati per morire. Come per quell’uomo che ama lo zucchero e ne mangia fino a morire. E non è una generica questione di ‘autonomia’. Perché una cosa è l’Autonomia in Trentino, un’altra cosa in Sicilia”.

A dire il vero, la Sicilia fino a un anno e mezzo fa era addirittura governata da quello che era il leader del “Movimento per l’autonomia”. E anche Crocetta sembra voler difendere lo Statuto e la specialità della Sicilia.

“Non mi sorprende. Crocetta ha un rapporto organico, strettissimo col suo predecessore. Tutti gli uomini che sostennero Lombardo adesso sono al suo fianco. Io gli riconosco la buona fede. Ma adesso deve essere proprio lui ad avvertire la necessità di chiedere il commissariamento della Sicilia. Dovrebbe andare a Roma e dire: ‘commissariate la Sicilia’. Non c’è altra soluzione: né un nuovo presidente, né una nuova Assemblea regionale servirebbero a nulla”.

Stia attento: Crocetta si è detto pronto a denunciare tutti coloro che chiederanno il commissariamento della Sicilia.

“E allora ribadisco ciò che il mio mestiere mi impone: chiedo l’abolizione dello Statuto speciale. E lo chiedo per il bene dei siciliani”.

Mi scusi, quali vantaggi ricaveremmo dall’abolizione dello Statuto speciale?

“Le dico subito: la mafia, per esempio, è un pesce. E l’acqua in cui nuota quel pesce è proprio lo Statuto speciale. Fuori da quello, la mafia non può più sopravvivere”.

Lei parla di mafia. E lo fa spesso, nel suo libro. Quanto manca alla Sicilia per liberarsene definitivamente?

“Guardi, la mafia in Sicilia è ormai un problema secondario di fronte alle enormità di questioni che riguardano i siciliani. In ogni famiglia, ormai, c’è almeno un disoccupato. E l’unico pezzo di carta che abbia un valore è il biglietto aereo. Dobbiamo dire la verità: se le cose vanno male in Sicilia non è per colpa dei mafiosi, ma perché non siamo stati capaci di risolvere i problemi”.

Dal libro è evidente che lei non è molto ottimista sulla possibilità che questo governo possa finalmente risolvere i problemi di cui lei parla…

“Ovviamente non lo sono. Ma per un motivo molto semplice: Crocetta non risolve i problemi, ma li criminalizza. E criminalizza anche il dissenso. Pensi che il presidente, a causa delle cose che scrivo, prima mi ha accusato di essere omofobo, poi ha annunciato che avrebbe cercato notizie tra i miei parenti, infine che dico queste cose solo perché lui non mi ha fatto lavorare. Accuse risibili, evidentemente. Ma che forniscono un esempio di questa abitudine a criminalizzare chi la pensa diversamente”.

È possibile invece che non si riesca davvero a uscire da questa contrapposizione tra mafia, e antimafia? Tra blocchi contrapposti che poi, in realtà, si “contrappongono” al loro interno?

“Un modo per uscirne c’è. Ed è quello di distinguere ciò che rappresenta la nostra vera identità dalla retorica. Le faccio un esempio, credo valga molto di più la scena dei ‘pizzini’ nel film di Ficarra e Picone che cento lezioni di legalità a scuola. Quelle immagini ridicolizzano, smontano la mafia. Il resto è retorica. Ma le posso fare anche un altro esempio”.

Mi dica.

“Recentemente è stato inaugurato l’aeroporto di Comiso. Se avessimo puntato sull’identità, avremmo dovuto intitolare quell’aeroporto a Gesualdo Bufalino. Un nome, una storia che racconta la bellezza di quel territorio. E invece si è scelto di intitolarlo a Pio La Torre che con quel territorio non c’entra proprio nulla e appaga solo la cattiva coscienza di chi non riesce a sanare quella ferita. Una scelta, questa, indicativa di una mentalità ideologica, paranoica e paesana”.

Le ripeto una domanda che le ho posto prima, anche alla luce di quello che mi sta dicendo. È possibile che ai siciliani vada bene così? Che vada bene, in fondo, anche una retorica rassicurante, un semplicistico racconto di uno scontro tra buoni e cattivi?

“Non so se ai siciliani va bene così. Ma se le cose stanno come lei dice, ancora più forte è la necessità di mettersi in una posizione sgradevole e sgradita, come faccio io con questo libro. Anche perché mi pare che recentemente il ricorso a una retorica dannosa e mistificatoria sia persino aumentato”.

Immagino c’entri Crocetta…

“Beh, Crocetta ha nominato Antonio Ingroia commissario della Provincia di Trapani affermando che in questo modo l’ex magistrato avrebbe contribuito alla cattura di Messina Denaro. Io, molto semplicemente mi chiedo: non poteva catturarlo quando faceva il pm?”.

Lei fa spesso riferimento nel suo libro a questa “tenaglia” dell’antimafia. Rimandando persino alle tesi di Sciascia, di quell’antimafia come strumento di potere, così come fu una fazione dei fascisti in Sicilia.

“Purtroppo è così, mentre la Sicilia avrebbe bisogno di altro. Ha bisogno di imprenditori, di artigiani. E invece qui ogni imprenditore che voglia aprire un’attività ha paura di finire tra le falci della mafia o dell’antimafia”.

C’è un dato che stride, però. Lei parla di imprenditori, quando la Confindustria siciliana, in realtà, è stata organica sia al governo Lombardo che a quello di Crocetta, che lei tanto critica.

“E infatti il mio richiamo alla ‘presa di coscienza’ è rivolto anche a loro, per non dire soprattutto a loro. Bisogna andare oltre. Lei immagini ad esempio la Sicilia nelle mani degli albergatori di Rimini e Riccione, o delle api laboriose del Varesotto. Bisogna andare oltre. Oltre la retorica e oltre lo Statuto”.

Ha fatto riferimento alle “falci” della mafia e dell’antimafia. E nel suo libro diversi sono, riguardo a questo tema, i riferimenti a Beppe Lumia. Come definirebbe il suo ruolo, in una parola, in un’immagine?

“Lumia è il più classico dei cardinali. Da un po’ sta in silenzio, non si espone. Ma i cardinali hanno sempre questi passaggi, dall’eccessiva loquacità al silenzio assoluto. Diciamo che se in questo momento è un po’ nell’ombra è a causa, chiamiamole così, delle necessità del mestiere”.

Lei nel libro accompagnava Lumia ad Antonello Cracolici. In realtà i due appaiono più lontani. Il deputato regionale, anzi, ha persino parlato di ‘Circo Barnum dell’antimafia…”.

“Per Cracolici userei un proverbio siciliano, diciamo che ha preso ‘u luci cu li mani’. Ha toccato il fuoco, con le sue mani. E si è scottato, prendendo finalmente coscienza di certi meccanismi. Meglio tardi che mai”.

Uno dei capitoli più interessanti del libro è quello in cui offre una descrizione parallela del presidente del Senato Grasso e dell’ex pm Ingroia. Alla fine del capitolo, però, ammetto di non aver compreso se lei valuta più positivamente l’uno o l’altro.

“Nè l’uno, né l’altro. Pietro Grasso e Antonio Ingroia sono semplicemente le due diverse facce della stessa medaglia, Il presidente del Senato è abilissimo nell’arte dell’annacamento: muoversi il meno possibile per rimanere sempre al posto giusto”.

Insomma, Buttafuoco, se non sarà commissariamento, che guida dovrebbe avere secondo lei la Sicilia? Leggendo il suo libro sembra quasi che lei sia un po’ nostalgico di Totò Cuffaro, un presidente condannato per mafia, e di quel periodo…

“Guardi, se lei si riferisce a una certa umanità, che era certamente una delle caratteristiche di Cuffaro, le rispondo che questa Sicilia ha certamente un grande bisogno, oggi, di umanità. Ma se vuole che io le faccia un identikit del miglior governatore possibile, le rispondo che quell’identikit somiglia molto a quello di Rino Nicolosi”.

Insomma, mi tolga solo l’ultimo dubbio: di chi sono le responsabilità maggiori se la Sicilia, oggi, è ridotta a una ‘buttanissima Sicilia’? Di Cuffaro, o di Crocetta?

“Una risposta secca non si può dare. I fatti vanno storicizzati e raccontati con attenzione. Ma non mi sottraggo e le dico che Crocetta, rispetto a Cuffaro, e anche a Lombardo, ha una responsabilità in più. Un’aggravante. Quella di aver criminalizzato il dissenso e di aver costruito un alibi sulle proprie incapacità, facendosi scudo col ‘politically correct’”.

Non la seguo…

“E allora sarò molto chiaro: se Cuffaro avesse, solo per fare qualche esempio, nominato come assessore la propria segretaria, avesse attribuito incarichi di sottogoverno solo ad amici e militanti del suo partito o se avesse pensato di inserire una norma in Finanziaria per aumentare lo stipendio a uno come Ingroia e a qualche altro fedelissimo, forse a quest’ora in Sicilia sarebbero arrivati i marines”.


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