CATANIA – “Il reato d’infamia non esiste e se una persona, anche quella che ha commesso i reati più gravi, decide di spendere energie per una causa che vale la pena di essere combattuta, è un successo per la società”. Al centro della polemica ci sono Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri, due ex politici condannati per mafia e ultimamente rientrati nell’agone politico siciliano benché dalla finestra dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. A parlare è invece Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e già europarlamentare del Partito radicale. LiveSicilia lo ha intercettato sulla strada che porta da Troina (En) – dove ha partecipato a un convegno sull’eutanasia legale promosso dal Centro Studi Med. Mez. – a Catania. “Una premessa, però, non rappresento i radicali, non sono più iscritto, e parlo a titolo assolutamente personale”, avverte.
Marco Cappato, possono due condannati per mafia tornare alla vita pubblica?
“L’obiettivo del sistema giudiziario è recuperare le persone alla vita civile. Il moralismo è invece uno dei peggiori nemici del dibattito politico”.
Prendendo spunto dalle sue parole, non trova che ci sia una differenza sostanziale tra le battaglie civili – penso all’impegno di Cuffaro a favore dei detenuti – e il ritorno più o meno diretto alla vita politica di un già condannato?
“Ci sono delle leggi che circoscrivono questa possibilità e ci sono gli elettori che giudicano. Ogni cittadino, in quanto elettore, ha la possibilità di giudicare se quel passato sia tale da far sì che una persona meriti di essere votata o no”.
È sufficiente la legge?
“Devono essere i cittadini a decidere. A farlo non può esserci un qualche tribunale delle coscienze o coloro che pensano di potere decidere chi siano le persone degne o quelle indegne. Questo no, non deve succedere”.
Dove si colloca, allora, l’etica pubblica?
“La questione è sempre lì: un cittadino può decidere che, sulla scorta di determinati reati, uno non meriti la fiducia. Ma il reato d’infamia non esiste”.
Cappato, cambiamo argomento, il referendum sull’eutanasia legale ha subìto lo stop della Consulta. Le firme raccolte erano tuttavia tante. Che risposta ha dato la Sicilia?
“La Sicilia ha dato una risposta straordinaria. E non mi riferisco soltanto alle città di Palermo e Catania. Ricordo che, la scorsa estate, guardando Instagram, ho visto le foto del banchetto a Troina. Sono brianzolo e non sapevo neanche che esistesse una cittadina chiamata così. Ed è stato proprio in quel momento che ho capito che ce l’avremmo fatta”.
Da cosa l’ha capito?
“Perché sapevamo che stavolta non bastavano le grandi città per raggiungere le firme richieste, non in estate almeno. E che la spinta sarebbe arrivata proprio dalla provincia o da Regioni dove non avevamo nessuno. Così è stato, infatti”.
Come spiega tanta partecipazione?
“Si tratta di un tema che la gente ha vissuto nelle proprie famiglie. Non c’è stato bisogno di convincere nessuno o di attivare chissà quale organizzazione. Le firme sono arrivate da sole. In tal senso la Sicilia è stata straordinaria”.
Cosa resta dopo la bocciatura dei quesiti?
“Resta una promessa tradita. Le conseguenze della bocciatura sono molto gravi proprio per la percezione della democrazia nel nostro paese. Penso a quei giovani che si sono buttati con entusiasmo in questa campagna, su di loro la bocciatura ha avuto un effetto devastante. Al tempo stesso, però, la rete creata non si è dissolta. E si va avanti”.
Il testo depositato in Parlamento e che ha come primo firmatario Alfredo Bazoli del Pd, vedrà la luce prima della fine della legislatura?
“Sono un militante e non faccio previsioni. Speriamo che ce la faccia, ma non mi faccio illusioni. Il fatto che il Parlamento sia arrivato a discutere dopo due anni e mezzo di silenzio dalla sentenza della Corte costituzionale sul mio processo, e lo abbia fatto proprio nei giorni nei quali la Consulta doveva decidere sul referendum, è servito a facilitarne la bocciatura. Mi pare chiaro”.
Questa è un’accusa pesante, non trova?
“Sì e lo dico sulla base delle motivazioni date da Giuliano Amato”.
Onorevole, non ritiene sia lecito che la Corte Costituzionale lasci al Parlamento il compito di legiferare su temi tanto complessi?
“Le sentenze della Corte Costituzionale hanno valore di legge e, all’interno di uno stato di diritto, i profili di costituzionalità sono decisi attraverso le sentenze. Certo, se il Parlamento affronta dei problemi di costituzionalità e li risolve è molto meglio. Se non lo fa, la Corte Costituzionale non può contrattare politicamente e dilatare i tempi. Significherebbe soltanto tenere in piedi leggi che violano, oggi, i diritti costituzionali”.
Che vicenda è quella del marchigiano Fabio Ridolfi?
“Il fatto che l’ufficio di un’azienda sanitaria locale tenga per quaranta giorni in un cassetto il parere di un comitato etico che dà il via libera al suicidio assistito, e che questo stesso parere venga fuori soltanto perché Fabio Ridolfi ha incontrato l’associazione Luca Coscioni, è indegno di un paese civile”.
Quando un paese è civile?
“Un paese può decidere democraticamente che l’eutanasia sia vietata, è legittimo. Ma che all’interno di una situazione legale, indicata peraltro dalla Corte Costituzionale, un individuo non possa godere di un diritto soltanto perché un funzionario ha perso la carta, non può esistere”.
L’ennesimo caso all’italiana?
“È all’italiana su tutto. Mi chiedo: se quel malato avesse avuto invece bisogno di un intervento di protesi dentaria che avremmo fatto? La verità è che nella terra dell’arbitrio e della burocrazia un diritto può non essere applicato”.
Chi dovrebbe pagare per tutto ciò?
“Purtroppo paga il cittadino”.