PALERMO – Le infiltrazioni mafiose sono state bonificate, ma il rischio è sempre dietro l’angolo, anche alla luce della capacità della mafia di disporre per decenni di un bene della Curia. Ecco perché il pubblico ministero Claudia Ferrari ha chiesto alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di imporre un’amministrazione giudiziaria a tempo all’”Azienda agricola santuario Maria Santissima del Rosario di Tagliavia”.
La decisione arriverà nei prossimi giorni. Di fatto un controllore nominato dal Tribunale affiancherebbe i vertici dell’azienda per completare il passaggio di consegne dei terreni fra Ficuzza e Corleone alla missione “Speranza e Carità” di Biagio Conte che li gestirebbe per aiutare i poveri.
Ormai da mesi è stato licenziato l’unico dipendente dell’azienda e cioè Francesco Di Marco, figlio di Vincenzo, autista della famiglia Riina, e nipote di Antonino, in carcere con l’accusa di essere il reggente del mandamento mafioso di Corleone.
Dalle indagini dei carabinieri del Ros e del Gruppo di Monreale emerse che l’ultima parola sul feudo Tagliavia spettava a Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. E così scattò il sequestro dei beni, a cominciare dall’azienda che ha lavorato sulle terre del santuario, incassato risorse pubbliche e assunto lavoratori “fantasma” probabilmente per ottenere finanziamenti che complessivamente hanno superato il milione di euro.
Erano stati i militari del Gruppo Monreale a intercettare lo scontro fra Rosario Lo Bue e Antonino Di Marco sulla gestione del pascolo. Lo Bue, classe 1953, è un nome noto alle cronache giudiziarie. Nei giorni del blitz Perseo – dicembre 2008 – veniva indicato come il nuovo capo mandamento di Corleone. Da quel mega processo uscì assolto perché le intercettazioni che lo riguardavano furono dichiarate inutilizzabili. Il 3 gennaio 2012 Di Marco raccontava a Nicola Parrino che Leoluca Lo Bue, figlio di Rosario, e Vincenzo Di Marco, fratello di Antonino, erano arrivati ai ferri corti per la gestione del pascolo sui terreni.
Anche Vincenzo Di Marco non è un nome nuovo alle cronache. Fu arrestato all’indomani della cattura di Totò Riina, di cui favoriva la latitanza, e ora si scopre che aveva ricevuto il benestare dal padrino corleonese con il quale aveva condiviso la detenzione al carcere Ucciardone di Palermo, tra il 1993 e il 1997. Scarcerato nel 1998 sarebbe uscito con un mandato preciso. E informò il fratello Antonino: “… qua disturbo non ce n’è… digli a tuo figlio che domani mattina se ne va là, diglielo che sono io, finito”.
Francesco Di Marco è subentrato al padre, andato in pensione, nella gestione dei terreni. È stato assunto dall’azienda agricola nel 2001. Da allora è stato l’unico dipendente. Le cose sono andate diversamente negli anni precedenti. Tra il 1987 e il 1991 alla banca dato dell’Inps risultano 69 braccianti in servizio, ma le schede di lavoro appartengono in 64 casi a persone inesistenti. Lavoratori fantasma, insomma.
Antonino Di Marco, quando scoppiò la lite con i Lo Bue, ne aveva parlato con Giuseppe Salvatore, il figlio del padrino corleonese che dopo avere scontato la pena si è trasferito a Padova. Lo informò che avrebbe lasciato le terre solo su ordine di Salvuccio, della madre Ninetta, o di Giovanni Grizzaffi, il nipote di Totò Riina, scarcerato dopo 25 anni trascorsi in cella.
Adesso la Curia di Monreale è pronta ad affidare i terreni coltivati a grano e uliveti alla missione di Biagio Conte come prevedeva un progetto di alcuni anni fa. La missione finora ha gestito una piccola parte del feudo. Il Tribunale dovrà stabilire se a vigilare o meno sull’operazione sarà un amministratore oppure l’azienda agricola della Curia può fare tutto da sola. Curia che si è attivata chiedendo all’avvocato Massimo Motisi di prendere visione del fascicolo, quindi l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi ha revocato l’incarico al vecchio rettore nominandone uno nuovo, ha scelto un consiglio per gli affari economici affidandolo a tre stimati professionisti e infine ha messo a punto il futuro passaggio dei terreni al misisonario laico Biagio Conte.