Il processo a Marcello Dell’Utri è ripreso ieri dal punto in cui è stato sospeso ai primi di ottobre, dal calciatore Gaetano D’Agostino e dal presunto interessamento di Marcello Dell’Utri per farlo giocare al Milan. Perché il senatore del Pdl – secondo la tesi dell’accusa – doveva essere “grato”: c’era stato l’accordo per fare confluire i voti gestiti da Cosa nostra nel nascente partito politico di Forza Italia. Il pg Nino Gatto, nella requisitoria al processo d’appello a Dell’Utri per concorso esterno, ha ricostruito quello che sarebbe stato il passaggio degli interessi di Cosa nostra da “Sicilia Libera”, partito mafioso-autonomista, all’appoggio elettorale a Forza Italia, garantito anche da Bernardo Provenzano.
L’accusa prende in considerazione il periodo cruciale fra la fine del 1993 e il gennaio del 1994. Gatto usa la parole del pentito Gaspare Spatuzza, “c’era un discorso in piedi” per cui si doveva ancora fare un devastante attentato ai carabinieri, a Roma. Così “chi si doveva muovere, si sarebbe dato una smossa”. Tutto detto da chi sostiene che di politica ne capisce, Giuseppe Graviano. Ma l’attentato doveva aspettare un “via” da “madre natura”, come veniva chiamato il boss di Brancaccio.
I nodi vengono al pettine a gennaio, secondo l’accusa. Giuseppe D’Agostino, dopo aver ospitato Giuseppe Graviano in latitanza, porta suo figlio Gaetano a Milano per fargli sostenere un provino nel Milan. Il giovane talento era già nell’orbita rossonera, ma per entrare in squadra la sua famiglia doveva trasferirsi nel capoluogo meneghino. “Madre natura” aveva promesso a D’Agostino senior che avrebbe aperto un negozio per far lavorare lui e la sua compagna. Il responsabile organizzativo del settore giovanile del Milan, Roberto Patrassi, ha testimoniato di aver ricevuto una lettera in cui Marcello Dell’Utri, all’epoca consigliere d’amministrazione del Milan, caldeggiava l’acquisto del giovane calciatore. Ma la stessa sera, il 27 gennaio 1994, D’Agostino senior e i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano.
“Il giorno dopo, dal carcere, Graviano fa sapere a Vittorio Tutino di togliere i cartelloni pubblicitari di Paolino Dalfone. Prima ci stavano bene, ora non ci stanno più bene” dice Nino Gatto che mira a dimostrare come dopo l’arresto dei due boss di Brancaccio si sarebbe lavorato per togliere ogni presunta traccia di collegamento con Dell’Utri. A questo episodio si aggiunge anche la visita di Cesare Lupo (“alter-ego dei Graviano”) a Tullio Cannella, fondatore di “Sicilia Libera”. Gli avrebbe raccontato come i carabinieri, interrogando suo cognato Fabio Tranchina, avessero chiesto di Marcello Dell’Utri. Ma Cannella, che ha deposto al processo, sostiene di non conoscerlo direttamente. “Credevo lo conoscessi visto che sei ‘infilato’ in questa cosa di ‘Sicilia Libera’” avrebbe risposto Lupo. Lo stesso Cannella racconta anche che, a gennaio 2004, aveva chiesto a Leoluca Bagarella di inserire un uomo di “Sicilia Libera” nelle liste di Forza Italia. Il sanguinario boss “corleonese” avrebbe risposto che si sarebbe rivolto a una persona in grado di imporre a Micciché l’inserimento nelle liste, solo che la richiesta è giunta troppo tardi. L’accusa tira fuori anche le consulenze fatte da Gioachino Genchi che hanno rivelato i contatti telefonici fra membri di “Sicilia Libera” e la segreteria di Gianfranco Micciché e, direttamente, con Marcello Dell’Utri. Uno di questi aveva anche il numero di casa di Berlusconi.
Tutti collegamenti che dovevano essere occultati perché ci sarebbe stato l’accordo fra Cosa nostra e Forza Italia. Ne parla Spatuzza, citando l’incontro al bar Doney di Roma con Giuseppe Graviano – in cui il boss avrebbe detto che “grazie alla serietà di queste persone ci siamo messi il paese nelle mani” – e anche il boss Nino Giuffré, che sostiene come Bernardo Provenzano aveva deliberato che ci si poteva fidare. E bisognava fare votare Forza Italia.