Dal terrore alla ribellione| In 14 contro il muro d'omertà - Live Sicilia

Dal terrore alla ribellione| In 14 contro il muro d’omertà

Il titolare di una pizzeria, il gestore di una sala giochi, l'imprenditore edile. Sono soltanto alcune delle vittime degli uomini del racket finiti in arresto nel blitz "Apocalisse 2". Hanno deciso di ammettere di aver pagato e fornito dettagli preziosi agli investigatori che hanno ricostruito la nuova mappa del pizzo.

Palermo, Apocalisse 2
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PALERMO – Quattordici denunce hanno rappresentato la svolta. Una scossa fortissima alle indagini, arrivata dalle stesse vittime, ha permesso di individuare gli esattori del racket, coloro che attraverso un clima di terrore fatto di intimidazioni e minacce continuavano a rimpinguare le casse di Cosa nostra con i soldi delle estorsioni. Gli imprenditori e commercianti convocati la scorsa estate in caserma, e messi di fronte alla realtà dei fatti, non hanno potuto negare di avere pagato. E hanno fatto molto di più, perché il riconoscimento dei loro aguzzini tramite le fotografie e il racconto dettagliato di ogni estorsione ha permesso agli investigatori di dare un nome e cognome ai vari componenti della fitta rete del racket in città.

Dal terrore alla ribellione quindi, fino ai ventisette arresti scattati ieri all’alba, che arrivano ad otto mesi dalla maxi retata che portò in cella più di novanta persone, tra capi e gregari di Resuttana e San Lorenzo. Tra chi aveva ricevuto richieste di pizzo, con l’imposizione di una somma mensile o assunzioni di persone vicine ai boss, ci sono il titolare di una pizzeria, il gestore di una sala giochi, l’imprenditore edile, il responsabile di una ditta di pulizie. Ma anche il proprietario di una concessionaria e i gestori di un parcheggio. In quest’ultimo caso uno dei due soci ha denunciato, l’altro no. Ha invece raccontato tutto ai carabinieri il titolare di una pizzeria con annessa tabaccheria a Vergine Maria, che dal dicembre del 2012 si era ritrovato in un tunnel di minacce e intimidazioni.

A partire dalla rapina subita nell’agosto di due anni fa, quando tre uomini armati di pistole lo minacciarono scappando poi col carico di tabacchi e l’incasso del venerdì sera. Si trattò dell’ennesimo “avviso” degli uomini del racket, che avevano già ribadito la propria presenza attraverso la richiesta di denaro ad un parente del titolare. Richiesta estorsiva che, in base a quello venuto a galla dalle indagini, sarebbe stata pianificata da Salvatore Mendola, cugino di Gregorio e Domenico Palazzotto della famiglia mafiosa dell’Arenella, tutti e tre tra gli arrestati di oggi. Lorenzo Flauto, anche lui finito in manette già durante il precedente blitz, si sarebbe invece presentato in una concessionaria di motociclette della zona residenziale della città, chiedendo del titolare. Quel giorno in negozio trovò il figlio, lo stesso che ha poi riconosciuto davanti ai carabinieri il suo estorsore in fotografia. In questo caso tra i “mandanti” della richiesta di pizzo ci sarebbero stati, oltre a Palazzotto, Filippo e Agostino Matassa.

Il nome di Gregorio Palazzotto emerge anche in merito ad un altro episodio etorsivo, quello ai danni del gestore di una sala biliardo all’Arenella, al quale venne imposto l’acquisto di tre nuove slot machines: la ditta che le avrebbe fornite sarebbe stata a lui collegata. Le richieste di Cosa nostra in quel caso non si fermarono qui, ma andarono avanti anche per poche decine di euro. Basti pensare che lo stesso Palazzotto un giorno “si accontentò” di sessanta euro sborsate dalla vittima, costretta a versare una somma imprecisata per una fantomatica festa di Sant’Antonino. Dopo questo episodio, come accertato dagli investigatori e confermato dal titolare della sala giochi, si verificò una serie di furti notturni e danneggiamenti: dalla saracinesca divelta alle macchinette scassinate, fino allo scambiamonete distrutto e i soldi al suo interno spariti. Ma di fronte ai carabinieri si è trovato anche un commerciante che aveva subito il furto del proprio furgone: qualcuno se ne impossessò nel 2013 vicino a Villa Igea, portando via l’intero carico di frutta e verdura per un valore di tremila e cinquecento euro.

Per riaverlo indietro sborsò trecento euro, con il classico metodo del cavallo di ritorno per rientrare in possesso del mezzo. Una dinamica ricostruita per filo e per segno dalla vittima, che ha permesso di risalire alle responsabilità, anche in questo caso, dei fratelli Palazzotto. Trecento euro al mese, con continue presisoni psicologiche e minacce dirette ad uno dei soci dell’attività commerciale, fu la richiesta ad un panificio. “Possiamo considerarci tutti una famiglia – dissero gli estorsori alla vittima – perché anche noi abbiamo un negozio di fiori, in corso Calatafimi”. Quel giorno insieme a Palazzotto sarebbe entrato in azione Emilio Pizzurro, anche lui già arrestato e in carcere. A finire nel mirino degli estortori anche l’impresa che lavorava per conto della Curia nella costruzione di un grande immobile tra via Maqueda e discesa dei Giovenchi, in pieno centro città.

Un grosso appalto che i boss non volevano farsi scappare, perché avrebbe potuto fruttare alle loro casse trentamila euro: quindicimila a Palermo e quindicimila euro a Bagheria. Le richieste di pizzo che l’imprenditore ha raccontato agli investigatori sono state confermate dal collaboratore di giustizia Sergio Flamia e si riferiscono ad un periodo molto lungo, partito nel 2002 a Santa Flavia. La vittima, allora, aveva già denunciato minacce ed intimidazioni. In un cantiere si verificarono il furto di una cesoia, il danneggiamento dell’attrezzatura e l’incendio sei porte blindate nuove di zecca, ancora da installare.

Nel cantiere a Palermo, nel giro di pochi giorni fu messo a segno il furto di quattro quadri elettrici e di cavi di rame per tre mila e cinquecento euro. E ancora l’estorsione al titolare di una ditta che si occupava delle pulizie allo stadio. La vittima, ascoltata dai carabinieri, ha ricostruito gli episodi estorsivi durante i quali due uomini gli imposero l’assunzinone di tre persone in un’occasione e di altre sei successivamente. Ma non sarebbe stata l’unica “clausola” imposta da Cosa nostra, che oltre all’assunzione di amici e parenti dei boss avrebbe voluto che il titolare dell’azienda sborsasse mille e cinquecento euro. Una ribellione, quella degli imprenditori che hanno deciso di andare ben oltre le semplici ammissioni, che spacca il muro d’omertà in una zona della città da sempre sotto scacco della mafia.


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