Un anno fa la richiesta di archiviazione, oggi il capovolgimento della posizione. Per il senatore Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno e adesso presidente della commissione Ambiente del Senato, la Dda di Palermo ha presentato un avviso di conclusione delle indagini e un faldone giudiziario di oltre 3 mila pagine. La decisione arriva dopo che il gip ha rigettato la richiesta di archiviazione nei confronti del politico del Pdl.
D’Alì è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Stando così le cose sembra che l’intenzione dei magistrati antimafia di Palermo, i pm Paolo Guido e Andrea Tarondo, sia quella di chiedere il rinvio a giudizio. Non c’è infatti pagina del faldone che non indichi vicende per le quali il senatore trapanese non sarebbe responsabile: secondo l’accusa, infatti, ci sono rapporti pericolosi, legami con soggetti mafiosi, vicende legate ad appalti e campagne elettorali. C’è la storia mai chiarita della compravendita fittizia di un terreno di Castelvetrano di proprietà della famiglia D’Alì: dopo la vendita sulla carta a soggetti prestanome di mafiosi, il denaro, secondo l’acquirente, il gioielliere castelvetranese Francesco Geraci, sarebbe stato restituito a rate alla cosca di Messina Denaro.
C’è la storia dei Messina Denaro, storici campieri della famiglia D’Alì anche nel periodo in cui sarebbe stata notoria la loro appartenenza alla mafia. Matteo, l’attuale latitante, risulterebbe sul libro paga dei D’Alì fino a ridosso dell’inizio della sua latitanza (giugno 1993), e fino ad allora veniva pagato, anche se più che dei terreni il boss rampante si interessava in quegli anni di delitti e stragi di mafia.
C’è poi il capitolo relativo ai lavori nel porto di Trapani. Cento milioni di euro spesi nel 2005 per attrezzare il porto ad ospitare la Coppa America. I risvolti li ha raccontati l’imprenditore Nino Birrittella, che dopo essere stato arrestato nel 2005 ha deciso di alzare il coperchio sulle commistioni tra mafia, politica e impresa. Ad essere stati sentiti negli ultimi mesi sono stati i collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori, Francesco Geraci, ex braccio destro del boss belicino Matteo Messina Denaro, e Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate.
Uno dei capitoli dell’inchiesta è poi dedicato al caso Fulvio Sodano. L’allora prefetto di Trapani ebbe uno scontro con D’Alì, all’epoca sottosegretario all’Interno, e il governo Berlusconi, invece di ringraziarlo per non avere lasciato in disuso i beni confiscati, per avere impedito il tentativo di Cosa nostra di riprendersi l’azienda Calcestruzzi Ericina sottratta al capomafia Vincenzo Virga, lo mandò ad Agrigento. Lontano da Trapani, su richiesta – secondo Sodano – dello stesso D’Alì.
Gli avvocati: “Nessuna novità”
“La documentazione relativa agli atti integrativi delle indagini depositata dalla Dda di Palermo non ha apportato rilevanti novità al quadro accusatorio per il quale la stessa Procura ha richiesto per ben due volte l’archiviazione”. Lo dicono i difensori del senatore Antonio d’Alì, Gino Bosco e Stefano Pellegrino, commentando l’avviso di conclusione di indagini notificato dalla Dda dopo che l’archiviazione è stata respinta dal gip Antonella Consiglio che ha chiesto ulteriori accertamenti. “L’intendimento – proseguono i legali – èquello di poter contribuire anche con proprie indagini difensive, come già accaduto in occasione della precedente udienza preliminare, al definitivo e sollecito chiarimento della posizione del senatore, al fine di dimostrare, in questa fase ancora puramente istruttoria, ogni estraneità dello stesso alle ipotesi di reato”.