Alla faccia della mostra. Che mostra, certo, ma fino a un certo punto. Perché Vittorio Sgarbi ha deciso che le “facce da mafiosi” vanno esposte, originale e forse geniale tecnica di “smitizzazione” di Cosa nostra. Vanno esposte, certo, salvo esporre i Salvo. Anzi “un Salvo”. Uno dei due. Perché con la mafia non c’entra. Almeno per il tribunale. Che, in nome del popolo italiano, per associazione mafiosa ha condannato Ignazio e non il cugino Nino. Appunto, i “cugini Salvo”, sono accomunati dalla linea di sangue (inteso in termini genealogici, intendiamoci), ma non su quella che sul sangue ha costruito immagini e fortune, potere e orrore.
Garantismo. Vittorio Sgarbi lo chiama così. E poco ci sarebbe da obiettare. Poco ci sarebbe da alludere e sorridere, se è vero che quel termine (o se non il termine, il principio certamente) fu anche di Leonardo Sciascia, primo scrittore di mafia, morto proprio vent’anni fa.
E proprio Sciascia è richiamato spesso da Sgarbi per attaccare le professioni dell’antimafia e le carriere fondate su prese di posizione, a sentire il sindaco, spesso forzate. Poco garantiste, appunto.
Chissà che ne penserà, oggi, di Sciascia e Sgarbi, di garantismo e sentenze la pittrice Flavia Mantovan. Che ha deciso di ritrarre proprio il Salvo sbagliato, e metterlo lì, tra le facce di mafiosi acclarati, nel palazzo Arabo-Normanno di Salemi.
“Mi sembra inaccettabile – ha scritto in una nota l’artista – la censura di Sgarbi perché io avevo fatto una mostra molto più ampia nella quale c’erano tutti i protagonisti della mafia e dell’antimafia, e per questo anche Borsellino e Falcone. E’ stato lo stesso Sgarbi – ha aggiunto – a chiedermi di limitare la mostra solo alle “facce di mafiosi”, e nella mia percezione quelli che ho scelto erano legati al mondo della mafia. E’ stato, tra l’altro, sempre Sgarbi – conclude la Mantovan – a ricordarmi che l’episodio del presunto bacio di Riina con Andreotti sarebbe avvenuto nella casa dei Salvo a Palermo. Nella mia percezione, dunque, i Salvo arrestati da Falcone, erano mafiosi”.
Sgarbi ha subito precisato di non voler difendere i Salvo, ma solo i principi del garantismo: “Prendo atto – ha detto il sindaco – della buona fede della Mantovan. Dico però all’artista che una cosa è essere indagati, una cosa è essere condannati. Non mi sembra corretto indicare Nino Salvo come mafioso. Altrimenti, dico alla Mantovan, perché non ha fatto anche il ritratto di Giulio Andreotti ? Occorre – ha aggiunto Sgarbi – un discrimine: la differenza tra indagati e condannati, per rispetto delle persone, della memoria, dei parenti”.
Dei parenti. Appunto. E il filo tra la giustizia e il ridicolo diventa molto sottile. Quasi impercettibile. Perché la linea di sangue, non sempre è quella “del sangue”, per dirla con Sgarbi. Perché l’indagato non è il condannato, per dirla con il Codice. Perché anche uno dei “cugini Salvo” può e deve essere considerato un innocente. Salvo prova contraria.
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