D'Aquino ebbe paura di "Nuccio"

D’Aquino ebbe paura di “Nuccio”

Nuccio Mazzei partecipava solo di rado ai summit di mafia, per questioni di sicurezza. Lo sa bene il pentito Gaetano D'Aquino, già killer del clan Cappello che aveva avuto l'ordine di uccidere “Nuccio” dai vertici della sua organizzazione.

CATANIA – Per il ruolo ricoperto, Nuccio Mazzei partecipava solo di rado ai summit di mafia, per questioni di sicurezza. Lo sa bene il pentito Gaetano D’Aquino, già killer del clan Cappello che aveva avuto l’ordine di uccidere “Nuccio” dai vertici della sua organizzazione. Per evitare di essere vittima di agguati, il boss dei Mazzei si faceva spesso rappresentare da un suo parente “Si chiamava Lucio (Lucio Stella ndr), non ricordo il cognome. Lui lo rappresentava in parecchie riunioni che ci sono state di elevato spessore e veniva accompagnato da Mario Maugeri “Ammuttapotte”. Loro venivano insieme ai Santapaola, Enzo Aiello, Benedetto Cocimano e Omar Scaravilli facente parte della famiglia Laudani. Quando noi c’incontravamo con Nuccio Mazzei andavamo a casa sua, perché lui non si fidava a venire da noi”.

L’ordine di ucciderlo era stato dato da Sebastiano Lo Giudice in persona, boss dei Carateddi, che voleva vendicare l’uccisione, compiuta dai Carcagnusi, dello zio Massimiliano Bonaccorsi. Per questo, il Carateddu avrebbe detto a D’Aquino: “Guarda, meglio di approfittare ora di ammazzare Sebastiano Mazzei non c’è. Così io mi vendico mio zio. Perché è imminente che ci arrestano a tutti, quindi io prima che m’arrestano devo levare di mezzo Sebastiano Mazzei”. Per quest’uccisione arrivò l’assenso di Orazio Privitera, ma non era necessario. “Lo Giudice -insiste D’Aquino- lo avrebbe fatto comunque”

I Cappello volevano la strada Ottanta Palmi “libera”, si tratta del principale snodo della droga di Catania, arteria strategica che porta al Tondicello della Playa; per questo, oltre a Nuccio doveva essere ammazzato anche Salvatore Amato dei Santapaola.

Nuccio fu pedinato da Gaetano Musumeci. “Scoprimmo -racconta il pentito dei Cappello- che lui tutte le domeniche abitualmente si recava nel Bar Lanzafame a comprare, diciamo, dei pasticcini da portare a casa come si fa la domenica, per usanza”.

Per la prima volta D’Aquino, spietato assassino, ebbe quasi paura. “Un conto è uccidere un apartenente ad un clan, un conto è uccidere un consanguineo del capo clan: è una guerra che non finirà mai. Per cui io ero molto contrario, o arrivavo qualche volta in ritardo, qualche volta facevo finta ca chi guidava la moto sbagliava strada, ppi chistu sulu campau Nuccio Mazzei”. Un agguato è fallito perché D’Aquino, a due passi dal bar Lanzafame, temeva di essere riconosciuto dalla moglie di Giovanni Nizza, detto Giovanni Banana, anche se, insieme a un altro affiliato, erano incampucciati a bordo di una moto, con tanto di caschi. “Però la mia fu una scusa, poi addossai la colpa a Gaetano Musumeci perché Lo Giudice si arrabbiò molto”.

Altro tentativo di agguato, altro fallimento, D’Aquino non se la sentì per la seconda volta di uccidere Nuccio. Era una tranquillo giorno di febbraio, nel pieno della festa di S.Agata. La candelora dei macellai stava “ballando” davanti ad alcuni negozi. Due affiliati ai Cappello, Antonio Bonaccorsi e Vito Acquavite, a volto scoperto, vedono il boss dei Mazzei, “è dentro la micra grigia -dicono a D’Aquino- c’è confusione per la strada, stavolta non scappa”. Aggiunge il killer: “Se n’erano già iniziati a fregare se la gente ci vedeva perché era loro intenzione affrontare anche una guerra”. Insieme a Nuccio, nell’auto, c’era un certo Mario Spina “un soggetto che non è vicino a clan mafiosi, però frequenta molte persone, diciamo, che fanno parte di clan mafiosi”. “Nuccio Mazzei mi ha visto -confessa D’Aquino- Nuccio Mazzei credo che si è preso un bello spavento, ma io non me la sono sentita di sparare, non ho sparato dicendo che i vetri erano appannati e non lo vedevo bene, e me ne sono andato”.

Il boss dei Carcagnusi a quel punto si recò da Orazio Privitera, a chiedere conto e ragione di quello che stava per accadere. E Privitera negò: “Nuccio, non erano là per te, perché come tu stai raccontando la cosa e per come tu hai visto, se erano per te t’ammazzavano”. Nuccio abbocca: “E’ vero, su vulevanu m’ammazzavanu”.

Dopo quell’incontro il boss Orazio Privitera dei Cappello, “ordinò di sospendere l’operazione -conclude D’Aquino- e aspettare momenti migliori”.

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