Dati Covid falsi, atto di accusa dei pm: "Verità da nascondere a tutti i costi"

Dati Covid falsi, l’accusa: “Verità da nascondere a tutti i costi”

Quei morti "tenuti nel cassetto" e le ordinanze di Musumeci su cui si indaga ancora

PALERMO – È un atto di accusa pesantissimo quello della Procura di Palermo nell’inchiesta sui dati Covid falsi, nonostante sia venuta meno una parte delle incolpazioni provvisorie nel passaggio di competenza da Trapani al capoluogo siciliano.

Si parla di atteggiamento spregiudicato, gravi indizi di colpevolezza, mala fede, volontà di mostrare un volto efficiente della sanità siciliana.

Si continua a indagare

Si capisce che le indagini sono solo all’inizio. Agli atti dell’inchiesta che ha portato alla sospensione per un anno di Maria Letizia di Liberti, dirigente del “Dipartimento regionale attività sanitarie e osservatorio epidemiologico” e del dipendente regionale Salvatore Cusimano c’è la richiesta del procuratore aggiunto Sergio Demontis e dei sostituti Andrea Fusco e Maria Pia Ticino.

Sono stati i pm a chiedere l’interdizione dei due indagati dopo avere sentito una serie di persone informate sui fatti, affidato una consulenza a due tecnici che fanno parte della cabina di regia nazionale sul Covid, dopo avere confrontato i dati recuperati dai carabinieri del Nas con quelli trasmessi dalla Regione Siciliana all’Istituto superiore di Sanità.

“La punta di un iceberg”

Secondo l’accusa, “allo stato non si può escludere che la falsità emerse dalle telefonate ed oggetto di incolpazione provvisoria costituiscono solo la punta dell’iceberg di ripetute falsità che solo una certosina e laboriosa ricostruzione permetterà di far emergere”.

Ed ecco il cuore delle indagini future. I dati aggregati non veritieri sono stati caricati – e qui scatterebbe il falso – nelle piattaforme informatiche, compilando i cosiddetti form che sono stati acquisiti dalla Procura. Adesso si deve capire se i “dati falsi aggregati” abbiano influito o meno nelle decisioni adottate dal ministero della Salute Roberto Speranza il 27 novembre 2020, l’8 gennaio, il 16 gennaio e il 29 gennaio 2021. Queste ordinanze richiamano i dati aggregati comunicati dagli indagati a Roma.

Non si spulciano solo le ordinanze ministeriali. I consulenti dei pubblici ministeri stanno accertando se e come i dati aggregati abbiano inciso nei provvedimenti presidente della Regione. Il punto di partenza è che certamente quei dati sono stati richiamati in diverse ordinanze di Nello Musumeci emesse fra gennaio e marzo 2021.

Le ordinanze di Musumeci

Ad esempio il 14 gennaio 2021 la Sicilia è diventata zona rossa su indicazione del Comitato tecnico scientifico siciliano (è stato di fatto l’ultimo parere richiesto dalla Regione al gruppo di esperti, un’anomalia sui ha accesso un faro anche la Commissione regionale antimafia), ma anche sulla base della relazione di Maria Letizia Di Liberti e Salvatore Scondotto, referente per la Regione siciliana del Sistema di sorveglianza integrata Covid dell’Istituto superiore di Sanità.

Le parole di Scondotto

Scondotto, sentito dai pm, ha detto: “Io davo per reali questi dati, dando per scontato che venissero immessi in maniera veritiera dai miei colleghi… I Google Form nella parte in cui contenevano dati sui tamponi facevano fede per il calcolo dell’indicatore 2.1 da parte della Cabina di Regia”. I dati aggregati falsi hanno influenzato e in che modo, peggiorativo o migliorativo, le ordinanze tenendo conto che facevano parte dell’elenco degli atti su cui vengono prese le decisioni a livello nazionale e regionale? Sotto esame ci sono, oltre a quella del 14 gennaio, le ordinanze presidenziali del 4, 10, 17 e 21 marzo 2021.

Le colorazioni della Sicilia

Nella richiesta della Procura allegata all’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Cristina Lo Bue si dice che “sono in corso accertamenti per verificare” se il caricamento dei dati errati si sia “tradotto in una effettiva alterazione del contenuto degli atti successivi. Per questa via potrebbe emergere la contestazione di nuove fattispecie penali di falso in atto pubblico per induzione che in ipotesi potrebbero ricadere sui report, sui verbali della cabina di regia e persino sui decreti ministeriali che hanno disposto la colorazione della Sicilia nonché sulle ordinanze del presidente della Regione siciliana”.

Così come le indagini stanno cercando sviluppare un ulteriore capitolo. Perché i dati sono stati caricati in maniera errata? I pm ritengono che “le falsità commesse dagli indagati non sono derivate di certo da una loro leggerezza, ma da un piano preordinato: dalle telefonate emerge una chiara volontà di caricare dati aggregati falsi nei form”.

“Una sacca di riserva”

In assessorato era stata creata “una sacca di riserva” dove gli indagati caricavano i dati “la cui tempestiva comunicazione avrebbe comportato l’emersione di risultati scomodi”.

Di Liberti e l’assessore regionale Ruggero Razza, indagato perché avrebbe concorso materialmente e moralmente nella commissione dei falsi, hanno presentato delle memorie difensive, obiettando che in un’ottica settimanale o comunque di medio termine grazie alla spalmatura i dati si sarebbero compensati e quindi non avrebbero comportato alcuna alterazione degli indicatori che si calcolano proprio su base settimanale.

Si tratta di una tesi difensiva sostenuta dagli avvocati Fabrizio Biondo, Paolo Starvaggi, Luigi Spinosa ed Enrico Sorgi che non convince i pm per due motivi. Il primo: molti dati sono stati recuperati al momento opportuno dagli indagati dopo essere rimasti nel limbo della “sacca di riserva” per molto più di una settimana.

Il secondo motivo: gli indagati avrebbero dovuto inserire i dati nel giorno stesso in cui ne hanno avuto conoscenza riempiendo l’apposito ‘campo note informative’ del form. Avrebbero potuto spiegare le ragioni del ritardo e invece avrebbero taciuto.

Far apparire un sistema efficiente”

Resta il nodo del perché ciò sia avvenuto. “In generale si può affermare che la volontà degli indagati di inviare dati falsi – spiegano i pm – è dipesa dalla volontà di far apparire l’esistenza in Sicilia di un sistema sanitario efficiente, ed anche di una rete informativa di monitoraggio Covid all’altezza della situazione. La realtà era invece diversa da quella fatta apparire, ed andava nascosta a tutti i costi per evitare che il ripetuto invio di dati aggregati intempestivi, accompagnato da note che rimarcano solo cronici ritardi, svelasse l’inefficienza del sistema di monitoraggio siciliano”.

I decessi “spalmati”

La Procura si occupa anche dei decessi “spalmati”. Si tratta di una circostanza che non configura il reato di falso, come gli stessi pm fanno notare tanto da avere escluso i dati sui morti dai capi di incolpazione, ma che viene sottolineata a supporto della richiesta di interdizione.

Secondo l’accusa, pur confluendo solo nel bollettino divulgato ogni giorno che non costituisce un atto pubblico, la vicenda dei morti “spalmati” sarebbe indicativa dell’esigenza di applicare una misura cautelare agli indagati perché denoterebbe il lato spregiudicato della personalità di Maria Letizia Di Liberti e Salvatore Cusimano.

“Contabilità occulta”

Anche sui decessi era stata creata una contabilità “separata e occulta” a cui attingere per procedere ad una successiva spalmatura”. L’accusa evidenzia che “tali condotte siano certamente tra quelle più riprovevoli commesse dagli indagati. Tali falsificazioni appaiono infatti sorrette dalla finalità di occultare il dato più tragico della pandemia Covid-19, ossia quello relativo alla reale portata, su scala regionale, dell’incidenza di mortalità, specie tra le fasce più fragili, ma non solo, della popolazione”.

La spalmatura, come emergerebbe dalle intercettazioni, aveva creato fibrillazione fra gli indagati specie quando si trattò di inserire contemporaneamente 180-190 decessi più recenti ad altri risalenti ai mesi di marzo e aprile 2020.

“Tale triste dato trova conferma nelle attività compiuta di recente, nell’aprile 2021 -fanno notare i pm – dalla nuova dirigenza del dipartimento regionale del Dasoe che nel procedere al riallineamento del dato numerico dei decessi ha riscontrato un gap di oltre 250 casi Covid-19“.

Il dato “è stato tenuto chiuso nel cassetto” fino al momento degli arresti. Non è un dato che fa scattare una contestazione penale, ma farebbe emergere “la spregiudicatezza” degli indagati. Si continua a indagare analizzando i dati contenuti nei forms, ma anche i dati dei pc e i messaggi dei telefonini sequestrati agli indagati.


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