Ci deve essere una maledizione. Un filo (giallo) rosso che lega i centrocampisti più riconoscibili della Roma alle bocche spalancate delle armi da fuoco.
Una stirpe di uomini arcigni, con rivoli nascosti di tenerezza, come Agostino Di Bartolomei, che si sparò un colpo di rivoltella nella primavera di quattordici anni fa. Gente costruita con i componenti indistruttibili di Jeeg Robot, come Daniele De Rossi, che ha pianto lacrime di sale per l’omicidio del suocero Massimo Pisnoli, assassinato a fucilate in periferia, secondo lo stile letterario di certa mafia capitolina.
Chissà, forse è un collegamento arbitrario. O forse, nella mascella, nel dolore e nel valore di Daniele, c’è davvero un po’ di Ago, il capitano. Solo gli occhi sono sempre stati su due strade incomparabili. Quelli di De Rossi conoscono lo smarrimento, ma possono superarlo con bagliori ferocissimi di rabbia. Di Bartolomei annegava a piombo nella sua malinconia. Lo scuro della pupilla era il colore profondo dell’anima. Era il suo macigno.
Capitani coraggiosi. Ago indossava la fascia di prammatica al braccio e lo sguardo eternamente triste. Perfino Liedholm sembrava un napoletano pazzariello al suo cospetto.
Daniele è un predestinato. Diventerà il leader della truppa, l’ennesimo Re sfolgorante di Roma, quando Francesco Totti consegnerà alla memoria il suo scettro e le sue gambe a pezzi. Eppure, anche senza gradi e spalline, l’elenco di oneri e onori è già sconfinato.
De Rossi e il rigore segnato nella finale dei Mondiali. De Rossi e il rigore smarrito contro la Spagna agli Europei. De Rossi, la sua arroganza romana-ladrona e i suoi “cucchiai” fuori razza. De Rossi e i gomiti da combattimento. De Rossi che spazza l’erba con i tackle. De Rossi che getta tutto quello che ha, fino a sanguinare. Fin quando ce n’è. De Rossi e il suo lutto. De Rossi e i presunti assassini del suocero in manette.
Sarebbe generoso applaudirlo uno così, quando scenderà sul campo del “Barbera” e guarderà in alto. Non importa la maglia contraria, conta quello che c’è sotto. Conta di più il muscolo che raccoglie in esclusiva le emozioni e la sorte di una carriera da mediano, terribile e umana. Uguale alla nostra.
C’è un solo posto al mondo per questa vita di tackle e rigori. Agostino Di Bartolomei sapeva benissimo dove trovarlo. Quando decise di annullare se stesso, non sbagliò. Mirò dritto al cuore.