Decine di gestori e nessun piano |La giungla del servizio idrico - Live Sicilia

Decine di gestori e nessun piano |La giungla del servizio idrico

Mentre a Enna e Messina i rubinetti funzionano a singhiozzo, oggi la giunta discute la riscrittura della riforma. Per tentare di mettere ordine in un sistema con un numero infinito di aziende - pubbliche e private - coinvolte. Ecco come funziona il servizio in Sicilia.

PALERMO – Una legge da riscrivere, da integrare secondo le indicazioni giunte un mese fa da Roma. E una rete-colabrodo, divisa fra mille piccoli e grandi gestori dei quali si sta ancora abbozzando un censimento, che negli ultimi giorni ha lasciato a bocca asciutta – letteralmente – due città come Messina ed Enna. Con la prospettiva, quella sì, di razionalizzare il sistema-acqua in Sicilia, o per dirla con le parole dell’assessore Vania Contrafatto di “stilare un piano industriale che eviti questi problemi”. Perché – è questo il punto – sull’acqua in Sicilia, in attesa della riscrittura della riforma impugnata da Renzi, si va a strappi da 16 anni. Da quando cioè la legge Galli rivoluzionò il sistema facendo entrare i privati e mandando in archivio il vecchio Eas, l‘Ente Acquedotti Siciliani. Un ente pubblico a cui fino agli ultimi anni del Novecento era affidata la gestione delle reti di distribuzione interne e delle fonti di approvvigionamento (dighe, sorgenti e pozzi) di un centinaio di comuni tra Messinese, Trapanese, Agrigentino, Nisseno ed Ennese, per un totale di 2 milioni di persone.

Un po’ pubblico, un po’ privato
Questa storia, infatti, inizia nel secolo scorso. Era il 1999 quando la Sicilia recepì la legge Galli, dividendo l’Isola in “Ambiti territoriali ottimali”, avviando la liquidazione dell’Eas (una liquidazione che, per la cronaca, non si è ancora completata), affidando il controllo delle reti ai singoli gestori locali e chiamando una nuova società, Siciliacque, a occuparsi dei collegamenti fra ambiti, cioè fra province diverse. Eccoli qui, i privati: della nuova società, la cui composizione è stata definita con un bando pubblico, facevano parte la Regione al 5 per cento, l’Eas al 20 per cento e i privati Vivendi ed Enel al 75 per cento. La composizione, adesso, è un po’ cambiata: la Regione ha acquisito le quote del vecchio Ente acquedotti, arrivando al 25 per cento, mentre Enel ha ceduto le sue azioni ad Acqua spa e Vivendi ha cambiato nome in Veolia Environment. La sostanza, però, non cambia: 75 per cento privato, il resto pubblico.
In mano a questa compagine ci sono le “chiavi” del sistema: due dighe, cinque potabilizzatori, 13 acquedotti. Ma anche un rapporto controverso con l’Eas, cui formalmente è affidata la gestione delle reti di “sovrambito”, per usare la parola burocratese che i tecnici usano per definire i collegamenti fra province diverse: Siciliacque deve versargli un canone per utilizzare la rete degli acquedotti, ma la quantificazione dell’“affitto” è finita a più riprese davanti al Tar. Per la cronaca, fin qui i giudici amministrativi hanno dato torto all’Eas, che pretende più soldi.
Di soldi, in effetti, l’Eas nel secolo scorso ne ha spesi parecchi. In Sicilia, infatti, l’acqua è più abbondante nella parte orientale, mentre in quella occidentale le sorgenti e i pozzi sono meno capillari: negli anni, così, all’ente fu chiesto di realizzare grandi infrastrutture per servire in maniera più equilibrata l’intera Isola. È appunto questo il ruolo adesso ereditato da Siciliacque: distribuire l’acqua che c’è in tutta la Sicilia. A una miriade di piccoli gestori. Sì, perché questo intreccio intricato è solo l’inizio dell’affresco che stiamo per mostrarvi.

In ordine sparso
Con la riforma di inizio secolo, la gestione locale è stata trasferita ad aziende ad hoc. Nove, sulla carta, contro le 400 dell’inizio del millennio, ma la legge – anche quella vecchia – è rimasta appunto solo sulla carta. Se infatti l’idea di partenza era dotare ogni provincia del suo bravo gestore, la Sicilia reale ha fatto inciampare i progetti della politica: a Trapani, Ragusa e Messina la società unica non è mai nata, e così nella provincia iblea ciascun Comune si organizza per conto proprio, mentre nel Messinese e nel Trapanese il servizio locale è stato affidato temporaneamente all’Eas. Temporaneamente: da undici anni. Il tempo di prendere le coordinate.
Meglio, si fa per dire, stanno le altre province. A Caltanissetta ed Enna la gestione unica è stata assegnata rispettivamente ad Acque di Caltanissetta e Acqua Enna, entrambe private, mentre a Palermo il capoluogo ha la municipalizzata Amap e 52 comuni della provincia erano affidati alle cure di Acque potabili siciliane, che però nel frattempo è fallita. Il risultato? Altri 32 comuni sono passati all’Amap. Che ha ereditato anche un paio di centinaia di dipendenti. Per una fase transitoria. Temporanea. Per un aggettivo che, in questo ambito, è un refrain ricorrente.
Ad Agrigento Girgenti acque, una società a capitale interamente privato, gestisce il servizio nel capoluogo e in un comune su due della provincia, mentre gli altri paesi hanno gestori locali più piccoli. A Trapani, oltre ai sedici comuni serviti dall’Eas, ci sono nove centri affidati a piccole aziende locali. Simile la situazione a Messina: il capoluogo è affidato alla municipalizzata Amam, undici paesi sono gestiti dall’Eas e il resto è sotto il controllo diretto dei singoli Comuni o di piccoli consorzi pubblici.
A Catania in origine il servizio era affidato alla Sie, una società mista pubblico-privata, ma dopo il contenzioso con l’Ato il servizio è passato alla gestione diretta da parte dei Comuni. Temporaneamente, ça va sans dire. Passaggio di consegne anche a Siracusa, dove il fallimento della Sai 8, una società interamente privata, ha costretto alcuni Comuni a riprendere in mano la gestione diretta del servizio. Una situazione analoga a quella di Ragusa, dove come detto l’Eas non è mai sbarcata. Neanche temporaneamente.

I pozzi senza fondo
Si potrebbe scendere ancora più in profondità. Letteralmente: arrivare alle sorgenti. E qui il ragionamento si amplia. Perché oltre alla miriade di società che sono già entrate nella gestione del servizio ci sono i proprietari dei pozzi: singoli privati, consorzi, società che servono piccole porzioni di territorio, con la “stampella” garantita da Siciliacque in caso di bisogno. Un esempio pratico può servire a far capire la situazione: a Palermo, come detto, il servizio è gestito dall’Amap, ma in un quartiere, Baida, si sfrutta una sorgente gestita dalla Sogea, che per questo motivo paga un canone alla Regione. E che, anche in questo caso, si è presentata al Tar per contestare gli importi. Ma questa è un’altra storia.
In questa situazione, per ammissione dello stesso assessorato, ci sono decine di aziende. Attenzione: “decine” è una stima, perché la competenza su tutto ciò che non è stato affidato a Siciliacque è passata da meno di un anno al dipartimento Acque e rifiuti, che sta esaminando le pratiche nel tentativo di fare un censimento. E venire così a capo di fascicoli le cui origini affondano le radici nella storia, con vicende che superano abbondantemente il decennio.

Vania ci riprova
Così si arriva alla storia recente. Ai rubinetti asciutti di Messina ed Enna e all’impugnativa del governo Renzi. Perché il censimento delle fonti non è l’unica operazione che il dipartimento Acque e rifiuti sta conducendo: l’obiettivo è accorpare i consorzi minori e i piccoli privati per fare – usando una definizione in voga nell’entourage di Vania Contrafatto – “tabula rasa con gli ambiti territoriali ottimali”. O, per dirla con l’assessore, per “stilare un piano industriale complessivo”.
La cronaca di questi giorni aiuta. “I casi di Messina ed Enna – osserva la titolare della delega all’Acqua nella giunta Crocetta – sono la dimostrazione che non importa se il gestore sia pubblico o privato. I problemi si manifestano ugualmente”. Perché? Secondo il Contrafatto-pensiero “perché manca un piano generale. Le faccio un esempio: finora a Messina nessuno aveva pensato di realizzare una condotta d’emergenza per permettere a Siciliacque di rifornire la città in caso di necessità. L’abbiamo fatta adesso”. Riordino, dunque. Pianificazione. In una parola: una riforma.
Un tentativo l’assessore-magistrato l’aveva già fatto. Pur criticandone il testo definitivo, in estate Vania Contrafatto aveva incassato il “sì” dell’Ars alla legge, che poi però il governo Renzi ha impugnato. “Da allora – spiega l’assessore – abbiamo avviato un’interlocuzione con il sottosegretario alle Autonomie locali Gianclaudio Bressa. Ci ha detto che in caso di riscrittura lo Stato ha intenzione di rinunciare all’impugnativa”. Una riscrittura che, ad oggi, non è ancora arrivata: subito dopo la mossa del governo centrale si è avviata la crisi di governo, e se Contrafatto è stata una delle due esponenti della giunta Crocetta confermate anche durante l’azzeramento, lo stallo è stato politico. “Ma le posso assicurare che non ci siamo riposati – scherza l’assessore –. Anzi: mi dicono che sono dimagrita”.
Il tema è in agenda, però. Oggi la giunta tornerà a riunirsi: “All’ordine del giorno ci sarà la riscrittura della legge sull’acqua”, assicura l’assessore. Che tipo di riscrittura? Al momento carte coperte: “Sto preparando la mia proposta di correzione – dice Contrafatto – e ovviamente sarà una bozza da adattare alle esigenze del governo”. A partire da un nodo-chiave contestato da Renzi: lo squilibrio fra pubblico e privato, con le multe (salatissime) previste solo per i secondi in caso di interruzione del servizio. Che fare? Estendere la multa al pubblico o eliminare quella per i privati? “Proprio su questo – taglia corto l’assessore – servirà una decisione collegiale. Non posso risponderle”. Almeno temporaneamente.

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