PALERMO – “Ad oggi sono stati assegnati ai 55 distretti siciliani, in materia di disabilità, circa 120 milioni di euro che non sono stati spesi. Siamo ricchi, ma non sappiamo come spendere i soldi”. A denunciarlo è il presidente dell’Anffas Sicilia (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), Pippo Giardina, che inquadra la situazione di “migliaia di famiglie che devono convivere con un disabile grave e gravissimo, affrontando ogni giorno numerose avversità, dovute proprio alla mancanza di servizi che. potrebbero notevolmente migliorare la loro vita”. Per Giardina, “la mancanza di fondi è la scusa dietro cui da sempre si trincerano tutti, soprattutto i Comuni. Eppure, con dati alla mano, è dimostrabile che le cose stanno in maniera diversa”.
Anffas Sicilia rileva che “15 milioni di euro sono stati assegnati dal 2016 secondo la legge ‘Dopo di noi’ (“Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno famigliare”, ndr). In particolare, proprio questi fondi, se non si spenderanno entro dicembre verranno persi definitivamente e lo stesso accadrà successivamente con le altre somme previste per l’assistenza ai disabili”. La legge prevede la possibilità di vivere in strutture private di tipo familiare per coloro che hanno una disabilità grave e non hanno più in vita i genitori, o se questi non sono in grado di accudirli. “Ci si chiede allora – osserva Giardina – perché, se le leggi e i fondi ci sono, si deve rischiare di mandare tutto in fumo? Che cosa manca, in concreto, per attuare la legge e spendere i fondi?”.
Secondo l’Anffas Sicilia, la burocrazia assume un ruolo chiave. “È necessario innanzitutto redigere il cosiddetto Progetto di vita, – afferma Giardina -, che può essere definito la carta di identità del disabile”. Dal documento emergono i reali bisogni che indicano quale aiuto poter attivare per venire incontro alle necessità della persona disabile e quelle della famiglia. “La famiglia assume un ruolo fondamentale insieme al Comune e all’Asp – continua Giardina – che sono i principali attori coinvolti. Loro infatti danno vita all’Uvmd, ovvero l’Unità di valutazione multidimensionale sulla disabilità. Ma per fare ciò è necessario formare gli addetti ai lavori, in primis gli assistenti sociali, e poi fornire personale alle Asp che, a quanto pare, non riesce a sostenere il carico di lavoro. Insomma, come sempre la burocrazia blocca tutto, ma questa volta in gioco c’è la vita di persone che non possono difendersi da sole”.
L’associazione attacca anche i Comuni: “L’Assessorato alle Autonomie locali e alla Funzione pubblica prevede che i Comuni devono spendere almeno il 10% delle somme che vengono loro trasferite per l’assistenza ai disabili gravi e non possono utilizzarlo per altro. Cosa che i Comuni non fanno quasi mai”.