PALERMO– “Sono la madre di Samuele Bua, fra qualche giorno, il quattro novembre, saranno due anni che non è più con me. Ancora non ci credo che lui non c’è più, è dura accettare la separazione. Sapere che io sono qui viva e lui è sottoterra è atroce. Per favore, diteci la verità su cosa è successo”. Lucia Agnello ha scritto una lettera a mano per dare sfogo alla sua pena e alla sua richiesta di verità, come se suo figlio potesse leggerla. Su quel foglio, un tempo bianco, c’è la grafia nera di un cuore spezzato. L’inchiesta, incardinata sull’ipotesi del suicidio, procede e scandaglia gli accadimenti di quel giorno, quando un ragazzo di ventinove anni, con tanti problemi, fu trovato morto in cella al ‘Pagliarelli’. Samuele soffriva di allucinazioni, manie di persecuzione, c’era una diagnosi di schizofrenia e turbe comportamentali.
La storia di un ragazzo difficile
E’ sempre complicato incastrare i sentimenti di un cuore spezzato con le ragioni di accertamento della verità: i primi gridano il proprio dolore, le seconde si sforzano di estrarre dagli eventi un percorso obiettivo. Ma quel grido va ascoltato comunque, nel rispetto dei meccanismi necessari della giustizia, perché appartiene a una madre e potrebbe moltiplicarsi per tutte le madri e tutti i sofferenti che non meritano di essere dimenticati o di risultare invisibili agli occhi del mondo.
Qual era la ‘colpa’ di Samuele? Lucia Agnello ha già raccontato la storia: “Mio figlio stava tanto male , ma di indole era un buono. Abbiamo cercato di non fargli mancare niente dal punto di vista affettivo. Lui era difficile e non siamo stati aiutati da nessuno. Nessuno ci è mai venuto incontro… Ha avuto guai con la droga. Era un tipo nervoso, strappava i documenti e si arrabbiava. L’ultima volta non era riuscito a prendere la pensione e si è arrabbiato ancora di più, non ci stava con la testa… Mi ha chiesto dei soldi, mi ha aggredito…”.
E poi il rituale delle visite in carcere: “Samuele era in isolamento. Lui non voleva starci con gli altri detenuti, si sentiva deriso e non capito. Per qualche settimana non ha voluto neanche incontrarci”.
“Dopo posso anche morire”
Secondo la cronaca fin qui disponibile e le indagini, Samuele Bua si è ucciso. Poteva essere evitato quel gesto? Ecco la domanda. E ce ne sono altre, a corredo, sollevate da Giorgio Bisagna, l’avvocato che segue la famiglia, depositate in una memoria in cui si chiedono lumi sulle misure concrete del regime di sorveglianza, sulla tempistica e sul tasso alcolico riscontrato nel sangue del ragazzo.
Pino Apprendi, di Antigone Sicilia, associazione che si occupa dei diritti dei detenuti, osserva: “Oggi nulla è cambiato, questo è il dato generale che riscontriamo. Ci sono tanti Samuele Bua in carcere per reati minori, che vivono una condizione acuta di sofferenza psichica e avrebbero bisogno di attenzione, di cure. La pandemia ha aumentato la confusione e i rischi, molte notizie ci sfuggono”.
E c’è la grafia del cuore spezzato di una madre. Lucia (nella foto con le figlie e la foto di Samuele) cerca delle risposte e non vuole credere al suicidio. “Per favore, aiutateci a sapere la verità. Dopo – scrive – posso anche morire”.