E l'ospedale diventa un presepe | quando canta il coro dei camici - Live Sicilia

E l’ospedale diventa un presepe | quando canta il coro dei camici

Il coro all'ospedale Cervello

Camici bianchi e cappellino rosso. Il coro degli specializzandi all'ospedale 'Cervello', per fare compagnia ai pazienti. E l'ospedale diventa un presepe.

Palermo, al 'Cervello'
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PALERMO- È arrivato con qualche giorno di anticipo il Natale in quella corsia, lì al secondo piano. Abbracciato dal buio del tardo pomeriggio, in una scenografia di pareti con la vernice grattata, barelle e flebo, il Natale è venuto fuori dalle voci e dai cappelli rossi degli specializzandi di pneumologia dell’ospedale Cervello. Con l’aiuto degli infermieri e dei medici i vecchietti in vestaglia che hanno potuto lasciare il letto sono stati invitati a fare da pubblico a questo stupefacente coro di camici.

Diamante, Così Celeste, Imagine, ma anche Jingle Bell Rock e We Are the World hanno fatto cantare e applaudire, distrarre e ricordare, hanno fatto commuovere parenti in visita e hanno fatto si che tutti toccassimo un tasto che cerchiamo, sempre, accuratamente di evitare. Lo vediamo, lo aggiriamo, lo sfioriamo quando necessario ma, spingerlo, impone il guardarsi allo specchio e dentro. Parlo della malattia, della solitudine, della vecchiaia, dei rimorsi e dei rimpianti, della vita. Parlo di un’onda d’urto che ti esplode nella parte bassa della pancia e che salta in gola, fino a tradursi nelle più differenti forme di lacrima. Le parole che non hai detto, l’abbraccio che non hai condiviso, una carezza, un fiore, una caramella, che avrebbero trasformato un giorno qualsiasi nel giorno in cui c’eri tu.

Nessuno è riuscito a parlare, subito dopo il concerto. Anche chi aveva inziato a farlo si è interrotto. Riempiti a scoppiare di ricordi e con il cuore gonfio dei nostri stessi buoni propositi siamo stati in silenzio senza sapere dove guardare, se negli occhi del signore anziano accanto alla porta o verso la finestra sbarrata. Tutto era d’improvviso troppo, inaspettato, vivo. Ho poggiato la mano sulla spalla di mia nonna, anche lei ‘ospite’ lì al secondo piano. Ha capito, credo, che anche il mio tentativo di mantenere un sorriso plastico stava fallendo e mi dice qualcosa per farmi ridere. Per sollevarmi, per distrarmi. Lei che sarebbe rimasta, a me che sarei andata via, verso un esterno fisico e simbolico, un ‘fuori’ che sarebbe stato totale. Lontano da quel tipo di riflessione, dal pigiama, dalla sedia a rotelle e dal lezzo di disinfettante e cibo.

Alessandra, Pierpaolo, Anna Maria, Irene, Riccardo, Laura, Rita, Fabio, Manuela, Daniela, Pietro, Alida, Claudia, Gaia, Antonella, Marcella, Elettra, Geraldine, Flora, Alberto, Emilia e Ornella sono stati un coro di angeli. Hanno dato gioia e festa, hanno scosso i presenti, hanno distribuito bigliettini di auguri e pandoro, senza consumismo da centro città, senza ipocrisia, senza promesse, senza inutili ed eccessivi addobbi. Per qualche minuto siamo stati tutti, davvero, davvero buoni.

 


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