(rp) Il ceffone non è uno schiaffo. E’ qualcosa di più. Nel suono che vibra, all’impatto contro una guancia, contiene un’epistola morale. Il ceffone è dato con dolore. Chi lo somministra soffre di più di chi lo riceve. Chi lo riceve è convinto di patire una tremenda ingiustizia. Non è facile accettare un atto di violenza dalle persone che ami (i genitori) e che ti proteggono. Poi, se sei intelligente, ci rimugini su. E capisci. I ceffoni sono diversi, però si somigliano in alcune caratteristiche fondanti. Parliamo di un’azione che ha uno come misura. Con due siamo già nell’altrove. Le bastonate successive e a ripetizione, invece, sono ignobili e basta.
I ceffoni paterni sono diversi da quelli materni. Sono più secchi. Il ceffone, per essere regolamentare, va appiccicato su una gota. In ogni altra parte del viso non vale. I ceffoni sono accompagnati da uno sguardo di rimprovero che amareggia più del male fisico. Da bambino ci leggi la delusione di un grande che credeva in te. E brucia. Certe volte bastano gli occhi. E non c’è più bisogno della mano.
Ora, davanti alla storia di una firma falsa e di una richiesta di risarcimento di cui non molto sappiamo, sarebbe facile alzare le braccia e sospirare: non ci sono più i ceffoni di una volta… Tralasciamo la tentazione. Eppure, nonostante gli ottimi propositi, nello stomaco avvertiamo un rimescolio di gembiuli neri, gessetti dall’odore penetrante e occhiali di maestre, buone ma severe. E, vai a sapere perchè, ci azzanna una feroce nostalgia.
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