Fare il poliziotto e vivere con la famiglia in un paese di provincia, nella profonda Sicilia, non è certo un gioco da ragazzi. Se poi sei un investigatore in prima linea nella lotta al crimine, che conduce inchieste sulla mafia e i gruppi che commettono rapine, furti, estorsioni e minacce nello stesso piccolo centro in cui risiedi, l’aria attorno a te può diventare irrespirabile. Ne sa qualcosa un agente del Commissariato di Leonforte, nel cuore della provincia di Enna, che da anni è bersaglio di comportamenti intimidatori, sguardi in cagnesco, “sputi” nel cofano della macchina e una raffica di querele infondate, ad opera di vari componenti delle famiglie di due giovani del suo paese, nella zona nord della provincia, arrestati in un’inchiesta coordinata dalla Dda di Caltanissetta. Un’inchiesta a cui, va precisato, quell’agente, per ragioni di servizio, ha lavorato. Non si è sottratto al proprio dovere, insomma, neppure quando si è reso conto che gli indagati erano persone che rischiava di incrociare tutti i giorni e con cui – perché no? – gli era persino capitato di bere un caffè al bar.
L’arresto di due giovani
Sei anni fa così scattarono le manette ai polsi dei due giovani, con varie imputazioni ma con cui, Cosa Nostra o le altre organizzazioni criminali operanti nel cuore della Sicilia, non erano coinvolte. Reati gravi, insomma, ma “comuni”. Poco dopo i due furono liberati, anche se entrambi sono stati ritenuti colpevoli e condannati con pene pesanti. A oggi attendono un nuovo verdetto della Corte d’appello di Caltanissetta, su rinvio della Cassazione, che potrebbe far ridurre la pena. Nessuna dichiarazione ovviamente da parte dell’agente, ma fonti vicine ai suoi legali fanno sapere che adesso, dopo la quinta archiviazione di denunce presentate contro di lui, è arrivato il momento di passare al contrattacco e di far partire delle contro-querele. Tanto più che, a supporto della sua correttezza, depongono gli atti stessi della magistratura. In una delle richieste di archiviazione formulate dalla Procura di Enna, tra l’altro, si parla testualmente di fatti “estremamente generici, privi di riscontro oggettivo, la cui valenza intimidatoria è frutto di una libera interpretazione/travisamento da parte dei denuncianti”; si aggiunge che i testimoni erano “tutti legati alla persona offesa”.
Le accuse
E le accuse, estremamente particolari: aver “gonfiato le guance o le labbra” o “soffiato con le guance gonfie”, o, ancora, aver alzato “il giubbotto per mostrare la pistola”. Tutti resoconti accusatori che poi, l’unico testimone non amico né parente dei due giovani, ha pure dichiarato di non aver mai visto. Dal canto suo l’agente ha sempre relazionato ai suoi uffici e ai suoi superiori, riferendo sguardi in cagnesco e velate intimidazioni, sia a lui che ad alcuni appartenenti alla sua famiglia. “Quello che dispiace di più – spiegano fonti vicine al poliziotto ‘nel mirino’ di questa vicenda – è l’impressione che si voglia provare a screditare un investigatore che allo stesso tempo, in servizio, ha ricevuto lodi, encomi ed encomi solenni, proprio perché integerrimo, scrupoloso e al di sopra di ogni sospetto. Un tentativo di ‘mascariamento’ nei confronti di un servitore dello Stato che vuole ingenerare nella gente confusione tra bene e male. Desideriamo ribadirlo: il male è chi cerca di sottomettere tutto e tutti con metodi criminali, il bene chi combatte il crimine. E desideriamo altresì fare un plauso alla magistratura requirente di Enna, diretta dal procuratore Massimo Palmeri: le archiviazioni sono arrivate tutte al termine di indagini puntigliose, che hanno appurato il comportamento impeccabile dell’agente”.
Il presunto ‘mascariamento’
Il presunto “mascariamento”, stando sempre a fonti vicine all’agente, sarebbe consistito anche in numerose chiamate in Questura, denunciando presunte persecuzioni da parte dell’agente, persino dopo che quei ragazzi erano stati intercettati per normali controlli di routine dai carabinieri, dalla Guardia di Finanza o dalla Polizia Stradale.
Con l’accusa di aver accusato ingiustamente un appartenente alle forze dell’ordine, va evidenziato, alcuni appartenenti a questa famiglia saranno già processati tra qualche mese. In quel caso si trattava di un appartenente a un altro ufficio, accusato ingiustamente dopo aver elevato una contravvenzione per violazione delle norme del codice della strada. Una dichiarazione di solidarietà nei confronti dell’agente è stata espressa da Gaetano Debole, presidente dell’associazione antiracket di Leonforte. “Siamo al fianco degli investigatori nella lotta al crimine – afferma Debole – e al poliziotto vogliamo esprimere la nostra più totale solidarietà. Nessuno tocchi chi combatte la mafia”.