ENNA – Fu un’inchiesta scandalo, perché metteva in dubbio lo spirito di abnegazione dei medici dell’ospedale Umberto I, ma anche di altri ospedali. L’ipotesi iniziale era che 33 medici avessero spacciato per urgenti interventi programmati. E che dunque avessero utilizzato la reperibilità per attività ordinarie, truffando in questo modo l’ospedale ennese.
Un’ipotesi che tuttavia non ha retto, tanto che la Procura, che aveva emesso le informazioni di garanzia, ora ha archiviato per tutti. La maggior parte gli indagati erano specialisti in servizio nei reparti di Anestesia e Rianimazione, Chirurgia e Ortopedia.
L’indagine
Le accuse erano venute fuori da un’indagine della Guardia di Finanza. Ma la stessa Procura le ha ritenute insussistenti, dopo che alcuni medici avevano anche scelto di farsi interrogare, per spiegare alla magistratura requirente le loro ragioni: non c’era stata mai nessuna truffa.
Il decreto di archiviazione è del Gip Ornella Zelia Futura Maimone e accoglie l’istanza dei Pm di Enna. Il giudice ha messo nero su bianco di aver rilevato “l’insussistenza degli elementi oggettivi e degli elementi soggettivi della fattispecie delittuosa contestata, non potendosi ravvisare nelle condotte imputate ai dirigenti medici una simulazione o dissimulazione della realtà attraverso “errate timbrature”, né alcuna macchinazione atta a far scambiare il falso con il vero”.
Nessuna “macchinazione”
Non c’era nessuna macchinazione, in pratica, tale da “indurre in errore il soggetto passivo (ASP 4 di Enna) con il fine specifico di ricevere emolumenti per prestazioni lavorative che non avrebbero svolto”. Anzi, dalle “indagini espletate e dagli interrogatori degli indagati, emergeva una situazione di difficoltà e sofferenza della struttura sanitaria nel far fronte alla carenza di organico e all’espletamento dell’ordinario carico di lavoro”.
Questo, spiega il giudice, rendeva “necessarie variazioni dei turni di “pronta disponibilità” effettuate dai dirigenti medici che andavano coordinate con le “prestazioni aggiuntive” svolte dagli stessi”. Le prestazioni in questione, “indicate nelle schede mensili di timbratura, ora come pronta reperibilità ora come prestazioni aggiuntive, erano e sono soggette al controllo del gruppo di lavoro “ALPI” che ne verifica la regolarità e ne dispone il pagamento a mezzo di apposito atto deliberativo”.
Il legale: hanno sempre regolarmente lavorato
Secondo l’avvocato Sinuhe Curcuraci, difensore di alcuni dei medici, la sentenza dimostra che “quando le indagini si fanno senza preconcetti si chiarisce più facilmente la dinamica della storia evitando così errori senza dovere aspettare l’esito di lunghi processi”.
“Tutti questi medici – sottolinea – in realtà il lavoro lo hanno sempre regolarmente effettuato. Se poi c’è carenza di personale di certo non è colpa loro anzi loro fanno funzionare la sanità nonostante tutto”.