C’era una volta un cane. Un giorno, qualcuno gli attaccò un tubo al collo, come un collare. E’ la classica cattiveria che non si riconosce e non si guarda allo specchio, che si consola pensando alla stupidità. Quel cane finì sui giornali in foto, col tubo attorcigliato, un’espressione infelice. Si mobilitò tanta gente. Fiorirono gli appelli sui quotidiani online: trovatelo, era l’imperativo. E lo trovarono alcuni valorosi, per liberarlo, per riconsegnarlo alle sue corse senza appendici posticce. Speriamo che quel randagio possa essere felice di nuovo. Ma questa storia ne ricorda un’altra, che parrebbe incommensurabile. E forse non lo è. Anche se è incommensurabile e infinito il destino del secondo protagonista.
C’era una volta un uomo. Gli legarono all’anima un’accusa infamante. Lo ingabbiarono. Poi lo liberarono, perché era innocente. Ma non fu felice mai più. Né mai riuscì a scrollarsi di dosso il collare. Morì di di dolore. Tutto ha avuto inizio giusto trent’anni fa.
C’era una volta un uomo.