L'imprenditore e il boss latitante| "Quell'incontro al bar del centro" - Live Sicilia

L’imprenditore e il boss latitante| “Quell’incontro al bar del centro”

Gaetano Fidanzati

Francesco Tramuto racconta il suo faccia a faccia con Gaetano Fidanzati.

Palermo - Il processo
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PALERMO – Era latitante, ma se ne andava in giro a gestire gli affari. E non era neppure guardingo visto che fissava gli appuntamenti al bar. “Lei può stare tranquillo, può acquistare quel magazzino, garantisco io… non ci sono problemi”. Così Gaetano Fidanzati, boss dell’Arenella, nel 2000, diede il via libera al trasferimento dell’impresa di Francesco Tramuto nella zona del porticciolo della borgata palermitana.

L’imprenditore racconta in aula quell’incontro in un bar di piazza Croci. Il processo è quello che vede imputati i fratelli Epifanio e Daniele Aiello, e Sergio Russo, accusati di estorsione aggravata. Fidanzati non disse il suo nome di battesimo, solo anni dopo Tramuto avrebbe saputo che “si trattava di Gaetano Fidanzati, all’epoca latitante”. Dal 2002 al 2008 Francesco Tramuto, titolare di una piccola impresa di rimessaggio e vendita di imbarcazioni, avrebbe ricevuto le visite dei boss. Non solo Gaetano Fidanzati, ma anche il fratello Stefano.

“Comprai uno scantinato all’Arenella – ha spiegato – e quando iniziarono i lavori di ristrutturazione, Stefano Fidanzati mi chiese se avevo bisogno di personale e poi se potevo dare dei soldi per i carcerati. Risposi che non avevo denaro”. Poi però quando arrivò la concessione al porticciolo all’Arenella per uno spazio, i Fidanzati gli avrebbero imposto la ditta Epidan riconducibile a Daniele Aiello. “Non avevo scelta. Assunsi anche del personale che mi segnalava Fidanzati”, ha spiegato. Poi i lavori passarono alla ditta Dian. “In questo caso – ha detto – ebbi contatti con Epifanio Aiello e Sergio Russo”.

Gaetano Fidanzati è morto nel 2013, non a Palermo, ma a Milano che era diventata la sua seconda casa. Era stata sospesa l’esecuzione delle pena che gli era stata inflitta perché colpito da un ictus. Il boss, 78 anni, lungo l’asse Milano -Palermo aveva costruito la sua carriera criminale e la sua fortuna. Uomo del narcotraffico negli anni Settanta, capomafia dell’Arenella, tra i primi a capire che in terra meneghina si potevano fare soldi a palate. In carcere l’ultima volta c’era finito a dicembre 2009. Nello stesso giorno in cui a Palermo mettevano le manette ai polsi di Gianni Nicchi, Fidanzati veniva fermato a Milano.

Sulla sua testa pendeva una nuova, l’ennesima, richiesta di arresto. Era nella centrale via Marghera, strada dello shopping. Agli uomini della Squadra mobile milanese disse di essere Augusto Ciano. Quando capì di non avere più scampo, dietro i suoi occhiali scuri, a goccia, chiese una sigaretta ai poliziotti. Anche loro stavano facendo shopping. Liberi dal servizio, ma quella faccia, la faccia d Fidanzati, non poteva non essere notata da chi gli dava la caccia da tempo. In carcere c’era finito, una delle prime volte, al tempo del maxi processo a Cosa nostra. Terminata di scontare una lunga pena – nel frattempo gli erano piovute addosso altre condanne per droga – era tornato libero nel 2007 e si era ripreso il posto che meritava.

Prima al vertice della famiglia dell’Acquasanta e poi dell’intero mandamento. Era la consacrazione per il boss originariamente affiliato alla cosca di Bolognetta di cui resteranno piene zeppe le informative degli investigatori di mezzo mondo. Informative che ricostruivano i grandi narcotraffici internazionali di droga. Fidanzati vendeva eroina ai sudamericana in cambio di cocaina che spacciava tra Palermo e la Milano da bere.

Dopo la condanna al maxi processo lo arrestarono in Argentina dove Giovanni Falcone era volato per interrogarlo. Bocca cucita. Solo poche parole per dichiararsi prigioniero politico. Nel 2008 nella mafia che provava a riorganizzarsi c’era ancora una volta il suo zampino. Blitz dei carabinieri Perseo: Fidanzati deteneva il bastone del comando all’Arenella e dintorni. Pochi mesi prima, in quello stesso anno, un commando di cinque persone massacrava a bastonate un tossicodipendente palermitano, Giovanni Bucaro, che aveva picchiato la figlia del capomafia, indicato come il mandante del delitto.

Ma Fidanzati era ormai latitante. Si rifugiò nella sua Milano, ma a volte tornava a Palermo e incontrava le sue vittime al bar.

 


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