CATANIA. Non ci sarebbero dubbi, secondo il gup di Catania Giovanni Cariolo, sull’esistenza e la piena operatività di un’articolazione del clan Brunetto a Castiglione di Sicilia. A guidarla Vincenzo Lomonaco, condannato in abbreviato a 20 anni di reclusione, nell’ambito del processo scaturito dall’inchiesta antimafia denominata Santa Barbara. Ad inchiodarlo sono le intercettazioni, soprattutto quelle captate all’interno dell’abitazione dell’imputato, in via Santa Barbara a Castiglione di Sicilia, che “costituiscono – come si legge nelle motivazioni della sentenza – fonte di preziosissimi elementi probatori e possono considerarsi l’asse portante delle accuse nei confronti degli odierni imputati”. Condannati con Vincenzo Lomonaco per associazione mafiosa ed a vario titolo per estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e traffico illecito di droga, anche Davide Seminara, a 14 anni e 4 mesi, Giuseppe Lombardo Pontillo, a 12 anni, Alessandro Lomonaco, a 11 anni e 4 mesi, Giuseppe Pagano, a 10 anni e 4 mesi, ed infine Antonino Tizzone, a 4 anni e 8 mesi. Unico assolto per non aver commesso il fatto è Filippo Mercia. Per il giudice non ci sarebbero elementi sufficienti per pronunciare una sentenza di condanna. “Ed invero, gli elementi acquisiti nei suoi confronti – scrive il gup – risultano unicamente concentrati attorno alla vicenda estorsiva ai danni di Tornatore e soffrono, con riferimento al Mercia, della doppia ambigua circostanza che l’imputato è parente del Lomonaco Vincenzo nonché dipendente del Tornatore”.
L’ASSOCIAZIONE. Evidente per il gup la posizione subordinata del gruppo di Castiglione di Sicilia rispetto a quello operante tra Fiumefreddo di Sicilia e Giarre, quest’ultima diretta dal boss Paolo Brunetto. E’ quest’ultimo a dirimere le questioni più spinose ed a mettere la parola fine alle controversie interne. In un’intercettazione captata dai militari dell’Arma emerge tutta l’autorevolezza di cui gode.
Lomonaco Vincenzo: “Però se tu, lui...io sono dentro, tu sei fuori e non si degna a scendere lì sotto come gli altri…devi dire: ascolta anche se non vieni qua che c’è qualcuno (a voce bassa) scendi da Paolo (inc)…c’è questa situazione, e se cala la testa lui, mi sta bene a me, ma no una volta, cento mila volte…Ma penso che non gli sta bene…”.
Alla morte di Paolo Brunetto alla guida del clan gli succede Carmelo Pietro Olivieri. “Tale fatto costituiva a più riprese, oggetto di conversazioni telefoniche ed ambientali che risultavano significative – scrive ancora il gup nella sentenza – sia per la descrizione in ordine alla fluidità della ‘successione’ nel comando del gruppo dal Brunetto all’Olivieri (nei cui confronti è stato disposto il rinvio a giudizio nell’ambito di questo stesso procedimento), evidente segnale di continuità della vita associativa, sia, ancora, per la descrizione in termini di subordinazione fra il gruppo di Castiglione e quello di Fiumefreddo”.
Situazione che emerge nitidamente nel corso di una conversazione ambientale tra
Vincenzo Lomonaco e Filippo Mercia. Quest’ultimo ipotizza che sarà Carmeluccio il nuovo reggente del clan.
Filippo Mercia: “Paolo… già (inc) però mio padre gli voleva bene…. mio padre piangeva…. è da due giorni che piange come un bambino… come un bambino…
tu non sai, quello è morto… una persona che tu…. qua c’era un riferimento per
tutte le persone del mondo … vecchietti con la moto motoape se ne andavano a cercare a lui..”[ … ] “Morendo ora lui, chi c’è più? A chi conoscono tutte queste
persone…conoscono a Carmeluccio…”.
LE ESTORSIONI. Sono cinque le estorsioni, quattro delle quali ai danni di aziende vitivinicole, compiute e accertate nel corso delle indagini dai carabinieri della Compagnia di Randazzo. Altre due quelle tentate ai danni sempre di imprenditori del vino. Analoghe le modalità di intimidazione: prima un biglietto, allegato ad una bottiglia con liquido infiammabile, con frasi come “cercati un amico”, “moviti di cussa”, “fatti un amico”, e poi i raid nei vigneti con la distruzione di viti, incendi ed altri danneggiamenti. “Tali attività di natura evidentemente estorsiva – scrive il giudice – venivano ricondotte alla azione della criminalità organizzata e ciò sulla base della analisi unitaria e complessiva dei fatti, posti in essere in un ristretto periodo di circa tre mesi all’interno di un territorio ben delimitato e con modalità tali da indurre i destinatari delle minacce a rivolgersi ad intermediari secondo un ‘protocollo operativo’ ampiamente riscontrato negli ultimi decenni come tipico delle associazioni di tipo mafioso”. Tra le richieste formulate agli imprenditori, oltre al denaro a titolo di protezione, anche la disponibilità all’assunzione, necessaria per ottenere l’autorizzazione a lasciare l’abitazione durante gli arresti domiciliari. Esemplare in proposito una delle conversazioni captate tra Vincenzo Lomonaco ed uno dei dipendenti di Francesco Tornatore, titolare dell’omonima cantina.
Lomonaco Vincenzo: “Ascolta una cosa gli devi dire di corsa di fare uscire le persone pensionate, di lì dentro, a tutti, a tutti, e tutti quelli che sono abusivi, perché li faccio uscire io di lì dentro Rocco. Gli devi dire, vedi che Lomonaco mi ha chiamato, siccome lei educatamente telefono non gliene prende, perché se io domani lo rintraccio per telefono, che lui parla per telefono, gli dico io, dato che travaglio non ne ha, i pensionati di lì dentro di farli uscire di corsa, vedi che non sono morto Rocco, sono attaccato (n.d.r. arrestato), no morto”.