Falcone, la memoria e la promessa per l'ultimo latitante: "Lo prenderemo"

Falcone, la memoria e la promessa per l’ultimo latitante: “Lo prenderemo”

La cerimonia al 'Museo del presente'. Gli interventi
LA STRAGE DI CAPACI
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PALERMO – Gli sguardi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si incrociano nelle gigantografie dell’atrio di Palazzo Jung a Palermo. Da oggi l’edificio ospita il “Museo del presente”.

Un luogo dove si fa memoria del passato per proiettarsi nel futuro. Un luogo che custodisce i ricordi affinché non vengano dispersi.

Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso nel 1992 e anima della Fondazione che ne porta il nome assieme a quello di Francesca Morvillo, lo definisce il “coronamento di tutta l’attività svolta dalla Fondazione in questi trent’anni, resterà qui perenne come una lezione di legalità”.

Alla cerimonia ci sono le autorità civili e politiche e ci sono i ragazzi della scuola del rione Kalsa, dove sorge il museo, intitolato a Rita e Paolo Borsellino, e quelli della scuola di Castelvetrano che porta il nome del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso per silenziare il padre collaboratore di giustizia.

Ed è ai ragazzi che Maria Falcone si rivolge: “La mafia è ancora un grosso problema, anche se non uccide continua a fare affari, perché cambia sempre e non muore se non si abbatte sino al centro del suo potere”.

“Sappiamo sicuramente che la mafia lo voleva morto – aggiunge – perché il maxi processo era stato per i boss una grande sconfitta. Poi accanto alla mafia ci sono gli interessi convergenti che purtroppo ancora non conosciamo. Io vorrei dire che non c’è niente, che non ci sono poteri dello Stato sotto a quella strage, perché io amo lo Stato italiano e non posso pensare che alcuni nelle istituzioni hanno tramato contro Giovanni”.

La parola che si sente ripetere spesso è “noi”. La mafia si combatte tutti insieme, su più fronti. Chi porta una divisa e chi fa il professore, chi indossa una toga e chi trasmette cultura.

Serve la fase repressiva. “La mafia inquina la società civile, la sua forza non è dentro sé stessa ma fuori”, spiega il generale Vincenzo Molinese, comandante del Ros. “Finora sono stati sequestrati ben 250 milioni, tra aziende, titoli, immobili, contanti riferibili a Matteo Messina Denaro, spiega.

Oggi preoccupa il prepotente ritorno ai vecchi affari della droga: “Lo Stato non deve arretrare ma proporsi per ricostruire i canali e la filiera del business della droga”, aggiunge il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Secondo Vincenzo Nicolì, direttore dello Sco della polizia di Stato, “bisogna evitare che la mafia riesca ad avere il controllo del territorio sostituendosi allo Stato, offrendo lavoro e protezione”.

“La legislazione italiana contro la mafia è ottima, come ci è stato dato atto al G7 Giustizia che ho presieduto a Venezia. Ora c’è il rischio dell’intelligenza artificiale: dobbiamo lavorare per capire gli usi che potrebbe farne la criminalità trasnazionale”, spiega il ministro della Giustizia Carlo Nordio.

La lotta alla mafia si fa anche, e soprattutto, con la cultura. “È per questo- spiega il ministro Gennaro Sangiuliano – che abbiamo deciso di portare la cultura fuori dalle Ztl fin nelle periferie con musei, teatri, cinema, sale multimediali”.

“Porto lo Stato nelle classi – aggiunge Chiara Colosimo, presidente alla commissione parlamentare antimafia – per spiegare che quelle di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani non sono figure lontane ma presenti, uomini e donne liberi. È nelle scuole che un ragazzo può prendere decisioni sbagliate”.

Patrizia Di Dio, vicepresidente nazionale di Confcommercio che ha affiancato la Fondazione Falcone in questa iniziativa, ha sottolineato come “cultura, passione, impegno e sviluppo economico fatto da imprenditori e imprenditrici perbene e liberi” servono a sconfiggere le mafie. “Attraverso l’arte e la bellezza il Museo vuole trasmettere messaggi positivi alla società civile e alle nuove generazioni”.

C’è sempre stato un prima e un dopo nella lotta alla mafia. Prima e dopo le stragi, prima e dopo Totò Riina, Bernardo Provenzano e, più di recente, prima e dopo Matteo Messina Denaro.

Chi è oggi il capo? Non c’è una figura che spicca sulle altre. Come spiega il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, però, “resistono la mentalità mafiosa e la struttura gerarchica. I boss di oggi parlano come quelli degli anni ’80. E ci sono anche gli affari della droga tornati ad essere la principale fonte di guadagno”.

Manca ancora un latitante all’appello della vecchia mafia, Giovanni Motisi. De Lucia è categorico: “Cesserà di essere un latitante, lo prenderemo”.

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