Comunque la pensiate, le voci di qualsiasi origine sul minuto di silenzio anticipato davanti all’Albero Falcone, nel trentatreesimo anniversario della strage di Capaci, raccontano l’antimafia nella sua drammatica condizione attuale.
Necessario inciso: qualunque sia stata la causa, il mancato rispetto dell’orario ha destato in molti una profonda impressione. Le 17.58 del 23 maggio rappresentano un patrimonio tragico che si è trasformato in riscatto e speranza.
Chiunque rammenta dov’era a quell’ora, in quel giorno, in quell’anno. Alle 17.58. Non dieci minuti prima. Non dieci minuti dopo.
Il merito della questione, comunque, appare addirittura secondario rispetto all’evidenza di un’epica ridotta a brandelli dai reiterati dissidi.
Vorremmo che i giorni sacri fossero dedicati alla memoria, alla ricerca del meglio, nella consapevolezza che il sangue versato dovrebbe costituire un punto di unione, soprattutto nelle differenze.
Invece, le polemiche, a torto o a ragione, non sono mancate perché non mancano mai e mettono contro familiari, correnti di pensiero, idee a vario titolo. Una storia vecchia che si rinnova.
In un simile scenario, i cari volti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e dei martiri vengono confinati sullo sfondo di una rissa continuata.
L’abbiamo annotato pure nei giorni del trentatreesimo anniversario di un immane dolore. Per renderci conto del vero stato delle cose è bastato appena un minuto di antimafia.
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