E poi ti trovi davanti all’inciampo della normalità. Lo rintracci nelle strade e nei volti, ai crocevia. Facce scavate, un grigiore che sotterra i colori e li rende inerti. Discorsi smozzicati imperniati sui soldi che mancano, sulla sussistenza dell’indomani, sulle ali che non appaiono più giovani. Alcuni inghiottiti da qualcosa. Altri che trascinano i passi come se avessero catene al posto delle scarpe.
E poi ti trovi davanti alla rottura improvvisa. E provi a raccontare ciò che, in fondo, non è raccontabile, con le ricostruzioni della cronaca fin qui disponibili. La mamma che uccide il suo bimbo a Catania. Il papà della famiglia felice che stermina i suoi cari e si toglie la vita. Gli antidepressivi. Intorno, le prime stelle rosse dal fioraio, le ultime foto della felicità, coriandoli di sorrisi, le faccine sui social. Segnali luminosi in un crepaccio.
E adesso l’orrore di Falsomiele, a Palermo, con un uomo macellato come un agnello. E il capo della Squadra mobile, uno che non si smarrisce mai perché ne ha viste tante: “Il nostro compito non è soltanto quello di arrestare gli autori dell’omicidio, ma stabilire cosa abbia provocato questo gesto di follia”. Nella difformità di vicende, moventi e circostanze; è come se ci fosse una deflagrazione alle porte di uno stanco Natale.
E allora ti chiedi se non lampeggi una spia tra il dolore di certi giorni e il confine estremo di certe cronache che accennano a un male oscuro, forse, in rilievo. Qui si intersecano riflessioni, qualche tentativo di risposta. Le domande si sommano. La voglia di capire ciò che appare incomprensibile rammenta le molliche di pane che Hansel e Gretel cercarono invano, sulla via del ritorno. A che punto è la notte?
“Non mi riferisco direttamente a quello che è accaduto perché non si possono unificare gli eventi e perché ne sappiamo ancora poco. Vorrei partire da un dato generale che mi risulta – dice Marco Barone, psicologo, psicoterapeuta – il male oscuro, se diamo al termine il significato di un disagio profondo, talvolta dagli effetti imprevedibili, non è semplice da definire. E l’accesso alle cure risulta più complicato, visto che il servizio sanitario nazionale ha dei limiti di copertura, mentre il problema si rivela vasto”.
Il dottore Barone offre la descrizione di un attimo che è già storia: “Tanto è cambiato. Abbiamo strumenti che ci collegano ovunque, mentre si deteriora la qualità delle relazioni e della comunicazione interpersonali. Non lavoriamo più per produrre cose. Sforniamo denaro e consumo. Abbiamo perso molto, soprattutto i valori. Abbiamo spezzato il legame che ci univa alla famiglia che spesso è la prima vittima del clima generale. Le feste, specialmente quelle natalizie, rappresentano un momento emotivamente forte, un’occasione di bilancio. Si sente il maggiore bisogno di un contatto affettivo che, magari, proprio in famiglia, non c’è. E in certi contesti al limite può accadere l’irreparabile”.
Roberto Alajmo affronta la questione da scrittore, con suggestioni e incubi. Non a caso è suo ‘Il repertorio dei pazzi della città di Palermo’. “Non sono sicuro che ci sia un aumento del livello della follia. Mi pare che sia impazzito il contesto che ti mette nelle condizioni, a tua volta, di impazzire. Se non rispondi a determinati modelli di successo, può scattare una molla che non c’era. Tuttavia, le cose tragiche che stiamo purtroppo leggendo non sono originali, hanno radici antiche e nei miti. E chiunque sia genitore, per esempio, se non si vuole perseguire il moralismo, sa che arriva un momento in cui l’impazzimento può sfiorarti. Dietro le mura di qualunque appartamento, gli ingredienti cuociono in una pentola a pressione. Non sai cosa c’è dentro, avverti appena il sibilo”.
Augusto Cavadi, professore, filosofo, ha una posizione che lo mette in controluce: “Oggi abbiamo un’amplificazione cognitiva perché le cose sono comunicate in tempo reale. Da che ne ho memoria, fatti atroci, purtroppo, sono sempre accaduti. E, per dirla tutta, non ho troppa nostalgia della famiglia del passato. Non la esalto. Quest’epoca coltiva la propria alienazione, come le altre. E’ necessario distinguere le dinamiche singole senza banalizzare, per comprendere. Scriveva Tolstoj: ‘Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo'”.
Marina Cassarà, avvocato che segue percorsi dolorosissimi, con umanissima sensibilità, da donna inserisce un orizzonte un po’ più rosa. “Il male oscuro lo vedo, lo sento, lo percepisco, in certi fatti di cui mi occupo, in certe persone… Ma poi guardo i ragazzi che mi sembrano ottimisti e bellissimi e privilegio la speranza. E’ terapeutico piangere quando qualcuno cura il pianto e lo trasforma in pace, quando sei accudito nella tana familiare che è il simbolo della protezione. Se questo manca…”.
I puntini di sospensione alludono alla cappa grigiastra dei giorni e ai mostri acquattati dietro l’angolo. Ci sono indicazioni plausibili? Chi lavora con le sofferenze degli uomini ci ha provato a orientarsi, in un fumo denso, ognuno nel suo campo alle prese con il singolo riflesso di uno specchio. Restano, intere, le domande e le differenze tra storia e storia. Resta la notte, con la paura di un’alba incerta. Ma ha ragione Marina, l’avvocato. Le luci esistono. Le speranze sono a portata di mano. Natale è l’immagine di una salvezza nelle peggiori condizioni possibili. Tutto può nascere e sempre rinascere nel cuore di chi non si arrende.