Orlando non è Ciancimino, ma Palermo sta affondando

Orlando non è Ciancimino, ma Palermo sta affondando

Una intervista che ha fatto discutere. Ma qual è il senso del discorso?

Non c’è nemmeno bisogno di dirlo che Leoluca Orlando non è Vito Ciancimino. Già una simile lapalissiana negazione offre un accostamento indebito che nessuno può neanche immaginare tra il sindaco mafioso e il sindaco della rinascita antimafiosa di Palermo.

Ma una città non è solo riscatto e speranza – elementi imprescindibili – non si caratterizza soltanto per la necessaria fisionomia di un cammino di liberazione che è stato compiuto e che va a onore e gloria dei camminatori, tra cui il primo cittadino in carica. Quella è la parte irrinunciabile, poi c’è il resto e ha pure la sua importanza nell’idea confortante di una comunità. Ci sono marciapiedi dove non inciampare. Ci sono strade da percorrere in sicurezza, quando piove. Ci sono i servizi che danno un contributo non secondario al mantenimento della legalità, nel segno di una cittadinanza che non deve chiedere favori a nessuno. E ci sono i cimiteri per morire con dignità. Quello che succede a Palermo crediamo che sia, invece, sotto gli occhi di tutti.

Perché una simile premessa? Perché lo scrittore Roberto Alajmo ha risposto alle domande di questo giornale, senza sottrarsi, in una intervista che non è passata inosservata. Ecco uno dei passaggi cruciali: “Abbiamo fatto un bellissimo giro e siamo tornati al punto di partenza, forse peggio. Io una città così incanaglita non me la ricordo, nemmeno ai tempi pessimi di Ciancimino. Anzi, sa che le dico? Questa Palermo è perfino peggio di quella di Ciancimino, perché la speranza è andata perduta”. E ancora: “Parliamo di personaggi incomparabili, nella sua complessità Orlando è molto meglio, ci mancherebbe. Tutti conosciamo la storia. Resta fermo che questa città oggi mi sembra anche peggiore, sotto certi punti di vista. Non nego i progressi del recente passato: ma la storia ti giudica per quello che lasci, non per quello che hai fatto”. Nessuna mancata presa di coscienza – torniamo all’incipit che prende spunto dalla chiacchierata che ha sollevato diversi commenti – della irriducibilità di figure ed esperienze. Solo una percezione provocatoria che ognuno può declinare variabilmente. Una via crucis da cui deriva una domanda ineludibile: ai palermitani piace vivere a Palermo? Ecco il centro nevralgico del discorso.

Questo, alla fine di ogni retorica e di ogni polemica più o meno verace, è il nocciolo che conta dell’intervista e soprattutto del resto. E che conterà moltissimo quando torneremo a votare per decidere quale direzione prendere, dopo che verrà sancito il tramonto di un regno politico, come tutte le esperienze lunghissime con luci e ombre. Invece, ci pare che la classe politica cittadina ancora una volta stia mancando l’occasione propizia, nel concentrarsi sulla difesa o sulla damnatio del sindaco amministrativamente agli sgoccioli, per lucrare spicchi di consenso.

L’Orlandismo è già il passato. Leoluca Orlando non potrà più candidarsi e perfino la sua conclamata ‘visione’, mancando il protagonista, se ne andrà con lui. Chi non lo ama tenterà di fare tutto il contrario, chi lo ama ne seguirà, forse, le orme, ma a modo suo. Ecco perché discutere del tramonto, mentre si costruisce l’alba è un facile esercizio che serve a poco. Palermo sta affondando e avrà bisogno di una svolta ardita per rimettersi in sesto. Occorreranno buoni amministratori con il coraggio delle scelte impopolari. Ci appare chiaro il dato focale con cui Roberto Alajmo si è confrontato, usando un accento provocatorio. E che conduce a un’altra domanda, ahinoi, ineludibile: c’è qualcuno a cui interessi davvero il destino di Palermo?


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