"Fare del mercato abbandonato di via Spoto un polo culturale" - Live Sicilia

“Fare del mercato abbandonato di via Spoto un polo culturale”

L'idea è di Giovanni Coppola, scrittore nato e cresciuto a Picanello

Caro direttore, cari lettori, se come diceva Victor Hugò la città è un libro di pietra, vi chiedo che libro sarebbe Catania? Ho sempre pensato che noi catanesi non abbiamo desideri di “luoghi”, ma di “spazi”, capaci di soddisfare il “ particulare” a danno del generale. La differenza tra luogo e spazio sta nel modo di intendere il concetto di convivialità, bellezza, e spettacolo.

Il “luogo” produce significati, è narrativo e leggibile. É “il luogo” ad essere simbolo di discussione, convivialità, confronto, è “il luogo” che permette una relazione tra città e cittadino sulla base di regole virtuose e comportamenti regolati. Il cittadino diventa città nel “luogo” e non nello spazio. Il “luogo” esprime una identità attraverso una narrazione leggibile, attraverso la cura delle pietre. Il contrario del luogo è lo “spazio”, che è espressione di abbandono, incuria, inefficienza.

Giovanni Coppola
Giovanni Coppola

La città è fatta di relazioni, di opportunità, e di progettualità. Ogni angolo della città dovrebbe raccontare una storia, esprimere una visione, ed esporre un progetto capace di sfruttare al massimo le opportunità che la stessa storia le offre. Le città che non hanno visioni, che non pensano progetti, sono città che non hanno un’anima, città brutte. Catania è una di queste. La città deve rigenerarsi nel suo continuo pensarsi, la sua essenza deve essere il divenire, sennò si rischia di fare la fine di Zora, una delle città invisibili visitate da Marco Polo e raccontate da Calvino: “obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l’ha dimenticata”.

Da alcuni giorni percorro via Spoto, arteria trafficata nel cuore del mio amato e degradato Picanello. All’angolo con la centrale e importante via Duca degli Abruzzi, c’è allogato, dal 1968, un mercato rionale, che, purtroppo, nonostante nel 2017 si spesero oltre 300 mila euro per ristrutturarlo, da tempo è chiuso, in disuso e abbandonato. Quando ero piccolo io era trafficato e colorato dalle tante merci esposte nei banchi: frutta, pesce, carne e tanto altro. Non c’erano ancora i supermercati e , soprattutto, non c’erano gli ipermercati nei centri Commerciali.

Era un “luogo” e non uno spazio.

Ma le tendenze cambiano e il mercato così come l’economia vivono di umori. Sicché questo luogo si è lentamente e inesorabilmente trasformato in spazio, prima abusivo e dopo abbandonato. Sono scomparsi i commercianti, gli avventori, le merci, i colori, la vita. Al loro posto, adesso, ci sono erbacce, rifiuti, topi, carcasse di animali morti e silenzio che sa di cecità, mancanza di visione e morte di progettualità.

Nel 2019, si scoprì, addirittura, che non era catastato, problema che, invero, è stato risolto prontamente dall’amministrazione. Poi venne una commissione comunale che fece un sopralluogo e stabilì che bisognava fare una gara di appalto per non si è capito cosa. Risultato è che quello “spazio” è ancora lì, chiuso, privo di visione, di progettualità, di funzionalità e di cura.

L’altro ieri mi sono fermato davanti ad uno dei suoi cancelli rugginosi e ho chiuso gli occhi ed ho immaginato un “luogo” in sostituzione di questo orrendo spazio: ho immaginato un polo culturale, di libri, di pittura, di teatro, di parole, di immagini, di colori.

Un “luogo” dove si può comprare libri, organizzare mostre pittoriche, rappresentazioni teatrali (magari teatro sociale e sperimentale) a cura delle tante compagnie di giovani attori che non hanno uno spazio dove esibirsi; un luogo dove presentare libri, organizzare eventi pedagogici per i bambini in modo da creare un contatto tra loro e la cultura, abituarli all’arte, alla lettura, alla convivialità; ho immaginato di coinvolgere i librai, gli editori e concedere loro uno spazio con il solo obbligo delle spese di ordinaria manutenzione e gestione; ho immaginato uno spazio per la vendita dei libri usati e uno spazio per lo scambio libri; ho immaginato un “ luogo” ingentilito da bellezza viva, in sostituzione di uno spazio brutto capace solo di abbrutire.

Sono stato sempre convinto che la bellezza produce il bene, mentre il brutto abbrutisce, disumanizza, rende arido ogni cosa.

Ho immaginato ciò che può ottenere la bellezza in un quartiere a rischio come Picanello, dalla pelle ulcerata dalle troppe e ormai non celate illegalità. Ecco, ho trovato il termine giusto: crescita.

È questa la proposta che vorrei fare ai nostri politici, loro che hanno il dovere di pensare per migliorare il destino sociale, economico e morale della comunità, e che hanno l’obbligo della visione per evitare di rendere la città un grande spazio anonimo, brutto, dove alligni l’individualismo delinquente e l’anomia, per renderla, invece, splendido e funzionale “ luogo”.

La Main street disneyniana esprime ordine, bellezza, misura, organicità, sinergia e sicurezza; Gotham city è il suo opposto: esprime disordine, bruttezza, egoismi, disorganicità, corruzione ed insicurezza. Main street è “luogo”, Gotham city è “spazio”.

Firmato
Giovanni Coppola

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