PALERMO – Rimosso dal ruolo di capo della famiglia mafiosa della Guadagna. C’è una “macchia” nella vita di Francesco Fascella tornato ieri in carcere con l’accusa di avere guidato l’organizzazione che riempiva di droga la città.
Che fosse stato spodestato lo sapevano tutti. Persino la moglie di uno spacciatore che nella sala colloqui del carcere, già nel 2008, spiagava al marito che ormai al comando c’erano “persone che sono uscite di galera… sono uscite persone grandi… grandi… grandi”. In un successivo colloquio la donna era ancora più esplicita: “Vero è, pure tuo fratello me lo ha detto… quello che ti ho detto… chi ti ho detto?… Calascibetta…”.
Fascella, dunque, avrebbe lasciato lo scettro a Peppuccio Calascibetta. Era quest’ultimo l’uomo “grande” tornato alla guida non solo della famiglia della Guadagna, ma dell’intero mandamento di Santa Maria Del Gesù. Tre anni dopo lo avrebbero crivellato di colpi.
Lo freddarono nel settembre 2011 con quattro colpi di pistola alla testa mentre rientrava a casa. Era a bordo di una microcar, una Ligier. Non fece in tempo a raggiungere casa, al civico 36 di via Bagnera, una stradina stretta di Belmonte Chiavelli. Calascibetta dal 2007 era un sorvegliato speciale dopo avere finito di scontare una condanna a dieci anni per mafia.
Nel 2008, all’epoca dell’intercettazione in carcere confluita nel fascicolo sui Fascella, era lui l’uomo forte che tolse lo scettro “ai Fascella, e ci andò con suo figlio Giuseppe – diceva la donna – hanno fatto entrare a lui, al vecchio e a lui hanno detto ma tu chi sei? Dice il figlio… tu non ci servi a noi, fuori, e gli hanno chiuso la porta in faccia”.
Perché Ciccio Fascella si sarebbe meritato un simile trattamento? La faccenda non è ancora chiara. Forse il suo strapotere nel mercato della droga era malvisto? Oppure Fascella avrebbe venduto una partita di droga di scarsa qualità a qualcuno che contava? Perché in tanti, quasi tutti e soprattutto tanti pezzi grossi, bussavano alla sua porta. E non sempre gli affari filavano lisci.
Lo ricordava bene Andrea Bonaccorso, collaboratore di giustizia del clan di San Lorenzo: “Nel 2005 Fabio Chiovaro della Noce aveva bisogno di 200 o 300 grammi di cocaina e si rivolse a me che ne parlai con Ciccio Fascella. All’appuntamento venne Filippo che mi portò mi pare 100 o 200 grammi di cocaina. Chiovaro, dopo quattro giorni mi disse che aveva ceduto la droga a un tale di Partinico che l’aveva restituita in quanto di scarsa qualità. Poi so che Ciccio e Filippo Fascella ebbero un incontro… i Fascella restituirono a Chiovaro la somma di 1500 euro…”. Bonaccorso sapeva anche che “Ciccio e Filippo Fascella imponevano alla gente della Guadagna di prendere la droga da loro imponendo il prezzo e tagliando la droga che non era di buona qualità”.
Storie di affari andati a male e di altri mai andai in porto. Come quello, ricostruito sempre da Bonaccorso e che vedrebbe coinvolto Salvatore Lo Piccolo, padrino di San Lorenzo: “Un mese prima dell’arresto dei Lo Piccolo ho saputo da Filippo Fascella che a Ciccio e Filippo fascella era arrivato un grosso quantitativo di droga, mi pare 10 o 15 chili. Ne parlai con Andrea Adamo e i Lo Piccolo per fissare un appuntamento, essendovi lagnanze circa la condotta dei Fascella, che non si mettevano a disposizione delle altre famiglie per esigenze legate al traffico di droga. I Lo Piccolo erano d’accordo con me e mi dissero di incaricare Nicola Di Salvo perché fissasse l’appuntamento e dicesse che servivano tre chili di cocaina a Totuccio Lo Piccolo in persona. Ne parlai con Di Salvo, il quale contattò Ciccio Fascella. Quest’ultimo mi disse che non aveva cocaina, ma che disponeva di una strada a Roma, conveniente ma per la quale servivano soldi in contanti”.
Quale fosse la “strada romana” non è dato sapere. Come non è dato sapere cosa portò al cambio della guardia fra Fascella e Calascibetta alla guida del clan della Guadagna. Di Certo tre anni dopo il suo rirorno al potere Calascibetta venne crivellato di colpi.