Della riforma del Contenzioso Tributario ne abbiamo già parlato, manifestando seri dubbi sulla sollecita realizzazione di tale importante tassello del sistema tributario del nostro Paese.
Non dimentichiamo che la riforma della Giustizia Tributaria non solo rappresenta un parte importantissima della riforma della giustizia in generale, ma costituisce pure, insieme alla riforma tributaria, un capitolo fondamentale del piano di riforme previsto nel PNRR.
Purtroppo, però, mentre per la riforma del fisco è stata già presentata dal Governo la bozza di “Legge delega” , attualmente all’esame del Parlamento, la riforma del contenzioso, non solo non viene inclusa tra le questioni prioritarie di cui alla citata bozza di delega, ma di essa pare che non se ne voglia parlare nemmeno, nonostante l’espressa indicazione esistente nel PNRR, l’affidamento di un lavoro di approfondimento ad un’apposita Commissione di esperti (composta da sedici membri e presieduta dal Prof. Giacinto della Gananea,) e l’avvenuta conclusione dei lavori con la redazione con la redazione di una relazione alla fine di giugno. Esistono solo tanti solleciti e tante riflessioni, ma niente è stato fatto di veramente concreto.
In verità, con la sua relazione, in data 30 giugno 221, la citata Commissione, chiamata a formulare proposte al fine di potere modificare al più presto l’attuale processo tributario, ha indicato le maggiori criticità dell’attuale sistema del contenzioso fiscale, evidenziando la complessità delle norme, l’insufficienza delle banche dati a disposizione dei cittadini e dei loro difensori, l’eccessiva durata dei processi, l’insufficiente livello di specializzazione dei giudici, le eccessive dimensioni del contenzioso esistente, l’imperfetta indipendenza dei giudici.
Ed ha anche indicato sette direttrici al fine di rafforzare il contraddittorio endoprocedimentale e dell’autotutela, incrementare gli strumenti deflattivi del contenzioso (come la mediazione e la conciliazione), colmare il deficit di informazione sulla giurisprudenza dei giudici tributari, rafforzare la specializzazione dei giudici tributari, consolidare l’indipendenza dei giudici tributari, innalzare la qualità delle garanzie di difesa processuali , migliorare il giudizio di legittimità in Corte di Cassazione.
Ha previsto pure il riconoscimento del diritto dei contribuenti di essere sentiti prima che sia adottato l’atto impositivo, nonchè l’obbligo dell’Ufficio di ricorrere all’istituto dell’autotutela tutte le volte in cui occorre rimuovere gli effetti di un atto palesemente illegittimo. Ha avanzato pure la proposta di potenziare l’istituto della conciliazione giudiziale, anche d’iniziativa del Giudice ed anche in caso di esito negativo della mediazione, con una penalizzazione a carico della parte che non vi ha aderito condannata al pagamento delle spese di giudizio maggiorate del 50%.
Sembrerebbe accantonata, invece, l’ipotesi di sottrarre all’Agenzia delle Entrate l’istituto della “mediazione” per affidarla, come forse sarebbe più giusto, ad un organo “terzo”, diverso dall’ente impositore.
Si discute pure sulla opportunità di inserire nel processo tributario la prova testimoniale, per ora assolutamente esclusa, magari solo in forma scritta e limitata alle dichiarazioni di terzi contenute in atti istruttori.
Purtroppo, però, il tempo passa mentre si continua a discutere e a confrontare diverse tesi. Oggetto di numerosi progetti di legge, alcuni sovrapponibili altri completamente diversi.
C’è, infatti, chi preferirebbe avere una sorta di sesta magistratura (in aggiunta a quella penale, civile, amministrativa, contabile e militare), formata solo da giudici togati.
C’è, invece, chi preferirebbe salvaguardare le attuali professionalità, quelle dei così detti “giudici laici” i quali da sempre svolgono con sacrificio e con una retribuzione quasi inesistente compiti di altissimo spessore.
C’è pure chi vorrebbe utilizzare i giudici “laici” ma affidando solo a quelli togati ed ai docenti universitari le controversie in secondo grado di maggiore valore ed importanza.
Non è da meno la questione riguardante l’attuale dipendenza logistica della Giustizia Tributaria dal MEF, circostanza che molti vedono come una falla nell’indipendenza del Giudice, quanto meno dal punto di vista della visibilità, atteso che, come è noto, non basta che il giudice sia terzo ed indipendente, ma occorre pure che così appaia all’esterno.
Insomma, finora, molto rumore per nulla.
Intanto, giudici non a tempo pieno, togati e non togati, continuano a lavorare, con enorme sacrificio ed in tempi estremamente brevi (cercando comunque di salvaguardarne la qualità), pratiche dai contenuti più svariati, spesso controversie complicatissime e dal valore molto alto, per le quali, magari, il difensore ha impiegato giorni e giorni di lavoro, adeguatamente remunerato, per la redazione del ricorso o dell’appello.
Recentemente, però, con una apposita risoluzione, le Commissioni Finanze della Camera e del Senato hanno sollecitato la definizione di tale importantissima questione. Più in particolare hanno auspicato l’affidamento delle controversie tributarie a giudici tributari a tempo pieno, ossia a giudici nominati previo concorso, non più “precari” ed “onorari”, ma chiamati a svolgere, in via esclusiva, solo questo lavoro, e nient’altro.
Hanno auspicato, contemporaneamente, una riserva di posti per i giudici non “togati”, quelli di estrazione diversa da quella delle “magistrature”, che, al pari dei magistrati togati, hanno dato, e continuano a dare, tantissimo (in termini di competenze, professionalità e dedizione) per svolgere questo importantissimo ruolo, nonostante l’impegno richiesto e le responsabilità assunte a fronte di un compenso assolutamente risibile.
In pratica, dal Parlamento, sembra si preferisca scegliere la seconda via, che vede una giustizia tributaria professionale e non onoraria, con giudici tributari a tempo pieno, adeguatamente retribuiti, assunti tramite concorso pubblico, riservato a laureati, tenendo conto però, nel contempo, degli attuali giudici ”laici” ossia quelli non togati, dei quali non va assolutamente persa la professionalità che, proprio in questo specifico settore, non può essere certamente considerata inferiore a quella degli altri giudici. In pratica, non giudici di serie a e giudici di serie b.
Insomma, una proposta, sulla quale pare sia d’accordo anche il Consiglio dei Ministri, abbastanza convincente e, probabilmente, condivisibile anche dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (il CSM dei giudici tributari) e dall’Associazione Nazionale Magistrati Tributari (ANMT), specialmente se non si porranno limiti di anzianità di servizio ai giudici “laici” per il passaggio alla carriera ordinaria di Giudice Tributario, proposta (almeno sei anni di permanenza nelle Commissioni Tributarie) che sarebbe stata avanzata in sede di redazione del progetto.
Al riguardo l’ANMT, lo scorso 14 ottobre, nell’invitare le sezioni regionali dell’Associazione a proclamare lo stato di agitazione (proclamazione già avvenuta nel Lazio), ha manifestato il proprio avviso secondo il quale qualunque scelta venga fatta, è indispensabile che venga assicurata la permanenza in servizio degli attuali giudici tributari nello status posseduto e con il limite di età attualmente vigente, e ciò per “l’insostituibile patrimonio di conoscenze ed esperienze maturate”. Ciò anche al fine di permettere la funzionalità della giustizia tributaria ed un’adeguata formazione professionale dei nuovi giudici.
Non si dimentichi che, come si diceva prima, l’apporto lavorativo e professionale dei giudici non togati (quasi la metà dei 2.800 giudici tributari), risulta fondamentale nello svolgimento della enorme mole di lavoro della commissioni Tributarie, dovendosi rigettare in maniera ferma qualunque affermazione o sospetto che la qualità della “produzione” dei giudici laici, proprio per la precarietà del rapporto e la modestissima retribuzione (non più di dodici euro a sentenza), sia diversa da quella degli altri giudici togati.
L’importante, comunque, è che si faccia presto. Al pari di tutte le altre problematiche che rendono il fisco italiano lontano dai cittadini, una giustizia tributaria della quale si arriva a dubitare, addirittura, della sua indipendenza, non può che allontanare non solo gli investitori stranieri, ma anche i nostri contribuenti, ai quali, invece, si continua a chiedere correttezza fiscale, compliance ed adesione spontanea.